Tenere i propri cani in garage può costituire reato, anche in assenza di malnutrizione. A ribadirlo è la Corte di Cassazione, che ha confermato, attraverso la sentenza n. 537/2023, la condanna inflitta a un proprietario dal tribunale ordinario.
Nello specifico la Cassazione ha confermato l’applicazione, in questo caso, dell’art. 727, 2° comma del Codice di Procedura Penale. Secondo i giudici della sSuprema Corte il proprietario avrebbe messo in atto, nei confronti del proprio cane, una condotta che poteva procurare “dolore e afflizione all’animale, compresi comportamenti di abbandono e incuria“.
Cani in garage, quando si configura il reato
All’epoca dei fatti, risalenti ad alcuni anni fa, il proprietario avrebbe spostato il cane di tre mesi nel garage. Ciò sarebbe avvenuto in seguito alla nascita del proprio figlio. Nonostante l’animale risultasse in buona salute fisica secondo il veterinario curante, il giudice della Cassazione ha ritenuto che le condizioni in cui si trovava a vivere l’animale (poca luce, presenza di oggetti ingombranti e scarsa possibilità di movimento) rappresentavano “condizioni incompatibili con la sua natura e produttive di grandi sofferenze“.
I giudici del “Palazzaccio” hanno ritenuto quindi doveroso sottolineare come non sia unicamente la condizione fisica a definire lo stato di salute di un animale. Negargli la possibilità di esprimere quelle che sono le sue caratteristiche etologiche può comportare sofferenza e danni psicologici. Come sottolineato dalla Suprema Corte:
L’ipotesi di reato non postula la necessaria ricorrenza di situazioni, quali la malnutrizione e il pessimo stato di salute degli animali, indispensabili per poterne qualificare la detenzione come incompatibile con la loro natura, ma al proposito rilevano tutte quelle condotte che incidono sulla sensibilità psico-fisica dell’animale, procurandogli dolore e afflizione, compresi comportamenti colposi di abbandono e incuria.
Rispetto della specie e delle sue caratteristiche quindi, aspetti che sarebbero risultati deficitari nel caso in questione. Respinta la richiesta di annullamento dell’ammenda da 1.000 euro (ex art. 727 c.p.), mentre viene revocato il sequestro dell’animale a causa della “erronea applicazione della legge penale con riguardo alla disposta confisca dell’animale, non riconducibile ai casi di confisca obbligatoria previsti dall’art. 240, 2° comma del Codice Penale“.
In merito a quest’ultimo punto la Corte di Cassazione ha sentenziato che la discussione in merito al sequestro del cane venga dibattuta nuovamente in sede ordinaria. La questione viene quindi rimandata al tribunale di Catania.