Protesta degli agricoltori

Con la protesta degli agricoltori rischiamo tutti di perdere

La protesta degli agricoltori ha i caratteri di una guerriglia da cui nessuno uscirà vittorioso, o almeno non completamente. Da una parte i trattori che sfilano per chiedere diritti, nell’altra barricata gli ambientalisti, a destra la UE e a sinistra i consumatori (ai quali peraltro nessuno ha chiesto un parere e si sono ben guardati dal provare ad esprimerlo con decisione nelle piazze).

Per il bene comune servono alleanze, e stare l’un contro l’altro armati porterà solo svantaggi.
Il confronto ancora in corso partito dai Paesi Bassi è un’occasione per ripensare il sistema agricolo italiano in modo da renderlo più resiliente alle sfide del presente e del futuro. Un obiettivo che richiede un impegno comune da parte di tutti gli attori coinvolti, a partire dalle istituzioni, dalle associazioni di categoria e dai cittadini.

L’agricoltura pilastro fondamentale della nostra economia

Il lavoro agricolo così come lo abbiamo concepito e strutturato fino ad ora non funziona più, chi coltiva la terra o alleva animali ha difficoltà a sopravvivere in un contesto economico sfavorevole per quasi tutti, schiacciati da decisioni governative, dalla grande distribuzione, dai loro intermediari (che di media riservano a chi produce il 10% delle entrate) e dall’industria di trasformazione.

Il settore è un pilastro fondamentale per l’economia di molti paesi oltre a, ça va sans dire, fornire cibo e risorse essenziali per la sopravvivenza umana eppure gli agricoltori sono costretti ad affrontare sfide pesanti dalla fluttuazioni dei prezzi delle materie prime ai cambiamenti climatici, dalle normative complesse a una concorrenza sempre crescente (basti pensare al basso costo del grano ucraino extra ue).

E la loro sofferenza è anche la nostra ma una parte di loro (certo non tutti) mette la testa sotto la terra come gli struzzi se crede che schivare la transizione ecologica porterà benefici, negarla, anzi, avrà ricadute sempre più pesanti su tutti, imprenditori agricoli compresi.

Le protesta degli agricoltori, cosa chiedono

Nella stagione agraria 2023, gli effetti devastanti del climate change hanno determinato perdite di resa del 10% per i seminativi e fino al 70% per frutta e verdura, con relative diminuzione del reddito degli agricoltori.

Le richieste spaziano da una riforma del sistema agricolo a misure concrete per affrontare il nuovo assetto climatico; i lavoratori chiedono un maggiore sostegno finanziario, la semplificazione delle normative e un coinvolgimento più significativo nella definizione delle politiche che influenzano direttamente le loro attività. Semplificando troviamo:

  • riduzione delle tasse e del peso burocratico;
  • riduzione degli interessi sui mutui;
  • maggiore tutela del Made in Italy e contrasto alle importazioni selvagge;
  • revisione del Green Deal europeo considerato troppo penalizzante;
  • costi più bassi per il gasolio agricolo;
  • sostegno ai prezzi dei prodotti agricoli.

Mancati finanziamenti e impoverimento

I fondi dell’Unione Europea non sono bruscolini ma a beneficiarne è sempre il 20% di chi coltiva, al medio e piccolo agricoltore restano briciole se non il nulla, l’equa distribuzione deve diventare uno dei pilastri sui cui si può sviluppare una modalità innovativa di fare agricoltura.

Aggiungo che gli agricoltori italiani possono essere costretti a buttar via parte della produzione, uno spreco raccapricciante che va dal 20% al 70% se una stagione è avversa dal punto di vista climatico. Perché succede? Accade quando i prodotti non rispettano gli standard estetici o dimensionali imposti dalla GDO, nonostante siano perfettamente buoni e commestibili, belli dentro ma non fuori oppure si verifica quando non conviene raccogliere la frutta, sempre a causa dei capricci del tempo, perché non ripagherebbe i costi della mano d’opera. Molte azienda faticano a coprire i costi, e lo stesso vale per gli allevatori.

Le prime risposte del governo

Il governo, con l’apertura di un tavolo tecnico con le associazioni di categoria per cercare di trovare soluzioni alle criticità del settore, ha annunciato tra le prime misure un taglio dell’Irpef: esenzione per i redditi agrari e dominicali fino a 10.000 euro e riduzione del 50% dell’importo da pagare per i redditi tra i 10.000 e i 15.000 euro. Slitta di sei mesi, fino al 30 giugno, l’obbligo di assicurare i trattori se non vanno in strada.

Non tutte le sigle agricole sono però soddisfatte delle proposte e minacciano altre mobilitazioni ma cambiare l’attuale modello produttivo ormai alle corde e accompagnare l’acquisizione di nuovi saperi e nuove competenze è necessario e auspichiamo che il nostro Primo Ministro se ne renda conto prima dell’irreparabile.

La posizione della UE

Balle di fieno

Il Green Deal è un programma ambientale progettato e creato allo scopo di agevolare i percorsi di decarbonizzazione ed è uno strumento necessario per contrastare gli effetti sempre più estremi dei cambiamenti climatici da cui derivano, tra le altre cose, gravi danni alle produzioni agricole. Il Green Deal è il futuro dell’agricoltura e non la sua débâcle.

Nel quadro del Green Deal europeo e del concetto di produzione alimentare sostenibile “dalla fattoria alla tavola”, gli obiettivi della strategia Farm to Fork sono (erano?) chiari: ridurre del 50% l’uso di fitofarmaci entro il 2030 e puntare all’azzeramento delle emissioni di gas serra entro il 2050, almeno è ciò che ha dichiarato Ursula von der Leyen in un primo momento salvo poi ritrattare come concessione agli agricoltori; oltre al fatto che comunque la UE permette alle multinazionali di importare merce da paesi non europei privi di limiti all’uso di chimica nelle coltivazioni, antibiotici negli allevamenti e compagnia cantando…

Pesticidi, i dati Legambiente

Siamo tutti d’accordo su quanto riportato nel rapporto Legambiente 2023 Stop pesticidi nel piatto e sull’urgenza di approvare la legge sulle agromafie, una norma strategica per contrastare la criminalità ambientale strettamente correlata col caporalato, ancora oggi drammaticamente presente in Italia: si stimano 400.000 lavoratori vulnerabili in agricoltura soggetti a gravi fenomeni di sfruttamento, di cui circa 100.000 sono stranieri.

E arriviamo ai pesticidi con i quali l’uomo può entrare in contatto diretto attraverso la pelle o l’inalazione (e più di tutti proprio chi lavora nei campi o nelle serre) o indiretto con cibo e acqua. I danni provocati dai pesticidi alla salute sono ormai un dato di fatto, indagato e confermato. A farne le spese anche le api e la biodiversità; il bioaccumulo è associato a disfunzioni endocrine, riproduttive e immunitarie in pesci, mammiferi, uccelli e anfibi.

No anche a uso e abuso di antibiotici che causano, solo in Italia, 300 mila casi d’infezione correlata a batteri resistenti, con circa 7 mila decessi (dati Associazione Microbiologi Clinici Italiani e Comitato di studio per gli antimicrobici).

La questione ambientalista

La tutela dell’ambiente e la decarbonizzazione cui stava puntando l’Unione Europea non possono diventare gli unici strumenti verso i quali la protesta degli agricoltori destina il proprio disagio, capri espiatori dove convogliare decenni di dolori. Distruggere i suoli, la biodiversità e il paesaggio rurale porterà a catena, e in un futuro imminente, ulteriori drammi e un prezzo da pagare ancora più alto.

Attribuire al Green Deal la responsabilità dei problemi rasenta la follia, una narrativa che non sta in piedi, un minore uso di veleni in agricoltura non vuol dire meno resa uguale meno guadagno. La riduzione porterà benefici di ogni sorta tra cui quello di minimizzerà lo strapotere dell’industria agrochimica e di conseguenza una maggiore libertà e una vita più salutare per chi vive a contatto con la terra.

Veniamo alla posizione della UE che obbliga a non coltivare il 4% dei terreni. Vogliono togliere lavoro agli agricoltori? Per carità, è piuttosto una misura che nasce per difendere i terreni dall’erosione e dal dissesto idrogeologico, per regalare fertilità ai suoli e tutelare biodiversità grazie ai piccoli ecosistemi selvaggi che si vengono a creare.

Non parliamo nemmeno dello spauracchio della carne coltivata, ancora di fatto inesistente in Europa e comunque difficilmente in grado di sostituire la carne degli allevamenti. Il vero problema è, semmai, il modello di allevamento zootecnico intensivo che non rispetta il benessere animale e provoca l’inquinamento di acqua, aria e suolo. E su questo dobbiamo convogliare le nostre energie per cambiare, i modelli non sono sentenze inoppugnabili e come tali soggetti a tutte le modifiche e agli adeguamenti necessari. Un atteggiamento granitico è controproducente in ogni atto della nostra vita.

La situazione resta incerta, dove porterà la protesta degli agricoltori?

L’agroecologia è la risposta per ridurre i danni dei cambiamenti climatici, aumentando la fertilità del suolo in modo dolce, favorendo l’equilibrio tra biodiversità naturale ed agricola, rendendo le produzioni capaci di resistere meglio al mutare delle stagioni, alla siccità e alle malattie.

Serve, quindi, che ciascuno faccia la propria parte per disegnare concretamente un percorso che guardi senza alcuna esitazione verso un’agricoltura a basso impatto, liberandola dalla dipendenza della chimica e riconciliandola con i sistemi naturali, che assicurano prodotti buoni, sani e giusti.

Le prossime settimane saranno decisive per capire se il dialogo tra governo e agricoltori porterà a un accordo soddisfacente per entrambe le parti. La tensione resta alta e il rischio di nuove proteste è concreto.