Prendendo spunto dall’omonimo libro pubblicato a giugno scorso, l’autrice propone un ciclo di appuntamenti per riflettere sulle opportunità legate all’AGENDA 2030 e sugli strumenti a disposizione delle nostre PMI per superare la crisi, partendo da un assunto, ormai incontrovertibile: “nessuna impresa può prosperare in un contesto depresso”.
Una lettura “leggera” dell’idea di cambiamento dedicata alle PMI che intendono attivare il CSRGATE per mettersi in viaggio o predisporre la virata, suggerendo come impostare la bussola, definire i punti mappa e predisporre le dotazioni di bordo. Ma con una certezza, da qualsiasi punto parta il viaggio, una volta iniziato, è destinato a generare una somma di ricadute positive e di vantaggi competitivi tali da non voler più neanche immaginare alcun cambio di rotta.
Una considerazione preliminare. Tutte le imprese nascono e sviluppano le proprie attività in base a una vision del proprio ruolo sul mercato e secondo un insieme di valori che ne contraddistingue e ne guida l’operato; portano avanti una mission, attraverso la quale rispondere ad una domanda esistente o indotta per generare ricchezza; adottano specifici modelli di organizzazione del lavoro per la produzione di quei beni e servizi e si approvvigionano delle risorse necessarie, spesso dai territori in cui operano, in termini di materie prime, forza lavoro, competenze e sostegno finanziario. E per farlo si relazionano con dipendenti, consulenti e fornitori, clienti e finanziatori, istituzioni e pubblica amministrazione, associazioni e organizzazioni espressive della società civile; una serie di stakeholder che possono ostacolare o agevolarne l’operato.
Quando l’impresa porta avanti le sue attività considerando le persone, l’ambiente e il territorio come patrimonio da tutelare e valorizzare, in quanto fonti di capitale per costruire il suo successo nel lungo periodo, e nel contempo ascolta e tiene in conto le esigenze dei suoi stakeholder per perseguire il miglioramento continuo delle proprie perfomance, impatti e risultati, allora siamo davanti ad un approccio responsabile nella gestione aziendale.
Un diverso modo di fare impresa, slegato da retaggi puramente filantropici, che consente alle aziende di ottimizzare l’impiego di risorse e la produttività dei lavoratori in un contesto sano e positivo, di accrescere la propria reputazione e di costruire diversi vantaggi competitivi perché capaci di conoscere e poi rispondere alla crescente domanda di prodotti e servizi sostenibili e responsabili nel mercato business come in quello consumer, dimostrando serietà, credibilità ed affidabilità per consolidare relazioni di fiducia stabili nel tempo. Un’azienda responsabile è considerata infatti meno rischiosa e dunque più affidabile. I clienti e consumatori sono più propensi ad acquistare e raccomandare i prodotti, gli investitori più inclini a concedere finanziamenti, dipendenti, professionisti e fornitori più stimolati nel perseguire gli obiettivi aziendali, i media più predisposti a raccontarne le vicende.
Alla luce delle mie esperienze posso dire che l’introduzione e/o il consolidamento di politiche di sostenibilità per una gestione responsabile dell’impresa sono scelte legate fondamentalmente a due distinte valutazioni: perché è il mercato a chiederlo e dunque non si può rischiare di perdere competitività rispetto alla concorrenza, oppure perché la consapevolezza del ruolo di cittadinanza dell’impresa e l’impegno a generare valore diffuso attraverso una gestione corretta e trasparente sono valori effettivi che appartengono alla naturale vocazione della proprietà.
Dal dire al fare. In ogni caso vale il principio se c’è forma allora deve esserci anche sostanza. Non possono esserci solo dichiarazioni di intenti cui non conseguono vere attività o che, ancor peggio, mirano a nascondere prassi e prestazioni in netta controtendenza. Laddove serietà, pervasività e ed effettività vengono meno, allora l’impresa si espone ad un grande rischio, quello di essere smentita e dunque di perdere credibilità con gravi danni non solo alla sua reputazione.
Formalizzare, implementare e diffondere impegni, azioni e risultati di politiche di CSR e Sostenibilità è un processo impegnativo di cambiamento prima di tutto culturale e poi organizzativo che, spesso, sposta l’asse su cui poggia l’intero modo di concepire l’impresa, il suo ruolo ed i suoi obiettivi rispetto al mercato in cui opera, in un’ottica di sostenibilità di lungo periodo. E comporta un’operazione di allineamento valoriale, di rilettura dei rischi e di riqualificazione dei processi, delle risorse, delle competenze e dei fattori di competizione, con un impatto in termini di tempi e costi in ogni caso significativo; un percorso che se inizia non avrà mai fine, un viaggio senza ritorno, un biglietto di solo andata. E produce i suoi più grandi risultati solo quando c’è una vera motivazione valoriale e dunque una reale spinta della governance al cambio di passo nei comportamenti aziendali; quando il principio di pervasività, investe effettivamente l’intera organizzazione nelle relazioni con tutti i portatori di interesse.
Quindi se state pensando alla CSR come ad una seduta di make up, che con interventi di cosmesi punta solo a ritoccare la comunicazione aziendale riempiendola di parole alla moda senza effettività o che addirittura possano mascherare decisioni e processi dannosi per le persone o per l’ambiente, configurando forme di greenwashing, cambiate strada! La responsabilità sociale, o in questo caso l’insostenibile leggerezza del greenwashing, sarà solo un potente boomerang che va a ledere proprio il rapporto di fiducia con gli stakeholder, a danno della reputazione dell’impresa e delle sue perfomance economiche. È inutile nascondere la polvere sotto il tappeto, tanto prima o poi quel tappeto qualcuno lo alzerà.