Poco ormai ci separa dagli esiti drammatici attesi della crisi climatica irreversibile in atto. La concentrazione di CO2 in atmosfera ha superato le 420ppm a Mauna Loa e sappiamo che a 450ppm il rischio annunciato è la estinzione della specie umana.
Le contemporanee e connesse crisi sistemiche che viviamo, la bellica, la pandemica, la finanziaria industriale, allontanano ogni giorno di più la attuazione della Agenda 2030 dell’ONU e la necessaria riduzione delle emissioni.
Il riscaldamento anomalo della superficie terrestre
La temperatura globale media della superficie della Terra incrementa di oltre 1°C rispetto all’inizio dell’era industriale. Il riscaldamento anomalo della superficie terrestre interessa la maggior parte dei continenti e degli oceani e produce già, in alcune regioni del globo, effetti cui è impossibile adattarsi, dall’aumento del livello del mare (con oltre il 60% dell’Umanità che vive in zone costiere) all’esposizione della popolazione ad eventi estremi (ondate di calore, nubifragi, alluvioni, siccità) compromettendo biodiversità, produzione di cibo, riserve idriche.
Analizzando la situazione dell’area del Mediterraneo, cui l’ultimo Rapporto IPCC ha dato largo spazio, si registra come la crisi climatica abbia già aumentato la frequenza di eventi estremi, ondate di caldo intenso, anche a livello marino, con aumento dei danni alle popolazioni, agli ecosistemi e alle infrastrutture e con conseguenze anche sulla disponibilità di acqua ed energia.
La crisi climatica porta siccità e aumento delle temperature
Periodi di siccità già sono sempre più frequenti nel Mediterraneo settentrionale, e quindi in Italia, con la temperatura delle acque superficiali aumentata anche di 1,8°C, raggiungendo in estate i 30°C, a fronte di 0,2°C nelle acque profonde: il livello del Mediterraneo in un secolo è aumentato di 13.5cm ed evolve ad un ritmo ad un ritmo di +1,5mm/anno.
La previsione di una minore disponibilità di acqua già oggi interessa 180 milioni di persone attorno al Mediterraneo, induce l’urgenza di frenare la domanda di acqua in agricoltura, condiziona un turismo che tenderà a ridursi nell’area, aggrava lo stato di ecosistemi già oggi minacciati dalle attività umane: il riscaldamento in atto induce impatti importanti non solo su infrastrutture e agricoltura, ma anche nel settore energetico: se si pervenisse ad incrementi di Temperatura media di 3°C, si stima che la produzione potenziale di energia idroelettrica possa diminuire del 40%.
Nel Mediterraneo mille specie ittiche aliene
Secondo l’IPCC, poi, in futuro la formazione di uragani del Mediterraneo (“medicane“) potrebbe anche diventare meno frequente, ma la loro intensità sembra destinata ad aumentare, poiché si tratta di un mare relativamente chiuso, con strette vie di comunicazione con l’Oceano Atlantico (Gibilterra) e con il Mar Nero (Bosforo): poco profondo, le sue acque si riscaldano a tassi superiori rispetto a quelli degli oceani.
Per questo nel Mediterraneo si sono insediate circa mille specie ittiche aliene tipicamente tropicali in competizione con le circa 16mila specie autoctone già sofferenti per l’aumento di temperatura, a seguito del quale si potrebbero creare intere aree ipossiche, per la carenza di Ossigeno, e verificarsi fenomeni di acidificazione per l’incremento della CO2 in atmosfera che sciogliendosi nelle acque marine forma acido carbonico e conseguente diminuzione del pH, con effetti gravi su alcune specie, soprattutto quelle che presentano scheletri calcarei (es. corallo rosso).
La fusione dei ghiacciai montani
Provoca gravi impatti sul Mediterraneo (e sull’Italia) la fusione dei ghiacciai montani su cui si basa la vita degli ecosistemi e delle comunità umane, fusione che genera effetti sulla morfologia delle montagne, sul ciclo idrico, sulla vita delle specie animali e vegetali nonché delle comunità locali.
I ghiacciai in Italia, secondo dati dell’Università Statale di Milano, sull’arco alpino hanno visto una riduzione del 13% della loro superficie in soli 12 anni e l’innevamento delle Alpi si è ridotto del 50% sotto i 1.000 metri e tra il 20 e il 35% sopra, in 50 anni.
Tutti i dodici ghiacciai monitorati da Legambiente e Comitato Glaciologico Italiano registrano una forte regressione: quello in maggiore sofferenza è il Fradusta (superficie ridotta di oltre il 95%).
Grande preoccupazione desta la fusione dei ghiacci terrestri (dall’Himalaya alle Alpi, ma soprattutto in Groenlandia), da cui si stima possa derivare un ulteriore innalzamento del livello degli oceani e dei mari oltre la crescita già registrata di circa 18cm negli ultimi 100 anni come media globale.
Siccità e desertificazione causate dalla crisi climatica
Allarme sociale ed economico oggi desta in Europa e Italia la siccità, prodromica a desertificazione, intesa dalle Nazioni Unite come “degrado nelle terre aride, semi-aride e sub-umide secche, dovuto a varie cause, inclusi i cambiamenti climatici e le attività umane”.
E’ noto come le principali cause della desertificazione siano:
– la cattiva gestione del suolo (serbatoio di CO2) con il suo sfruttamento intensivo – – la deforestazione – le monocolture con l’uso di prodotti chimici e gli allevamenti intensivi
– i cambiamenti climatici
Gli alberi producono Ossigeno e regolano il ciclo dell’acqua: la deforestazione induce un clima sempre più secco e arido. Le conseguenze della cementificazione (erosione urbana) e della siccità/predesertificazione sono:
– perdita di suolo e biodiversità
– minore disponibilità di acqua dolce
– migrazioni forzate di popolazioni
Si stima che la desertificazione abbia un costo di 15.000 miliardi$/anno: per questo le Nazioni Unite lanciano l’obiettivo della neutralità del degrado del suolo (LDN, Land Degradation Neutrality) rendendo stabili qualità e quantità delle risorse del suolo degli ecosistemi e diffondendo pratiche virtuose che migliorano la produzione di cibo, fibre ed energia senza impoverire il suolo.
In Europa sono tra le zone più a rischio di desertificazione la Spagna (74% del territorio, comprese le Isole Canarie) e l’Italia (10% del territorio classificato ‘molto vulnerabile’ e circa il 50% ‘mediamente vulnerabile’).
In Italia non piove da mesi
Nell’Italia Nord Ovest nel 2022 non piove da mesi, una grave crisi climatica è in atto: già nel 2020 le piogge sono diminuite del 16,5% ossia di 132 mm/anno rispetto alla media 2006-2015. Gravissimi danni interessano le principali colture del Paese. La crisi richiede ormai interventi emergenziali importanti, che dovrebbero essere accompagnati da azioni strutturali mirate alla transizione che da troppo tempo non si attuano, sapendo che il 60% dell’acqua dolce è utilizzata per l’agricoltura, il 25% dall’industria e dal settore energetico, il 15% dal settore domestico: il consumo pro-capite domestico è di 236 litri/giorno e nulla si fa per evitare che il 35-40% della risorsa collettata in acquedotti venga oggi disperso dalla rete. Negli ultimi 20 anni la portata del Po è diminuita in media dell’11%, quella del Tevere del 15%.
La portata idrica e cosa riemerge dal Po
La portata idrica attuale del Po a Mantova è di 300 m3/sec contro i 1500 m3/sec usuali di questo periodo e si registra la risalita del cuneo salino dal Delta, per 21 chilometri di corso fluviale. Quando la portata è troppo debole, infatti, l’acqua salata del mare “risale” lungo il corso del fiume, rendendola inutilizzabile per l’irrigazione: a Pontelagoscuro è stata registrata una portata di 180m3/ secondo (stato di “estrema gravità idrica”). Dal greto riemergono residuati del passato.
Un parco centrali termoelettriche per complessivi 2.000 MW di potenza è in fermo a causa della carenza d’acqua di raffreddamento da Po. La siccità è problema ciclico, non più emergenziale: bisogna riorientare le produzioni agricole verso colture di qualità meno idroesigenti garantendo redditività con prodotti di eccellenza, efficienza energetica e minori consumi di acqua grazie a sistemi di irrigazione più moderni e capillari.
Il fenomeno della dispersione idrica
Sul fronte dei consumi domestici denuncio da anni (‘Il grande banchetto’, 2018, Ed. Fond. Finanza Etica) come la finanziarizzazione/privatizzazione di fatto dei Servizi Pubblici Locali abbia portato ad amplificare il fenomeno della dispersione idrica dalle reti acquedottistiche, in virtù della scelta dei ‘nuovi managers politici’ di ‘giustificare’ i propri emolumenti mirando ad aumentare i dividendi attesi da Sindaci e soci privati con tagli agli investimenti in manutenzione e rinnovo delle reti.
Non si tratta più solo delle enormi perdite del maggiore acquedotto europeo, quelle pugliese, ma di una media nazionale del 41%: le perdite in Emilia-Romagna, che decenni fa vantava una AGAC della Provincia di Reggio Emilia che denunciava dispersioni fisiologiche inferiori al 10%, oggi oscillano dal 40% al 23% (fonte ATERSIR) a fronte del prolungamento automatico delle concessioni idriche al 2027.
Le soluzioni alla crisi climatica esistono
Va ricordato il ritardo dell’Italia sulla Direttiva UE Trattamento delle acque reflue, che nel 2018 ci è costato una multa di 25 milioni più 30 milioni di sanzioni ogni 6 mesi di inadempimento. Quante volte, per inciso, abbiamo chiesto che le acque depurate alimentassero, ad esempio, lavaggi auto da localizzare in prossimità dei depuratori, come in Germania, così come 25 anni fa chiesi ad Acea di inviare i flussi in uscita dal Depuratore Roma Nord verso la rete sotterranea che nel Ventennio fu realizzata nel sottosuolo capitolino e da lì utilizzarla per la pulizia di strade alla maniera di Parigi.
Anche qui urge passare da una logica lineare ad una logica circolare, impiegando sempre di più le acque reflue per uso irriguo, ma anche inserendo nei regolamenti edilizi l’obbligo di sistemi di raccolta delle acque piovane e di recupero delle acque grigie. Infine, non solo agricoltura e consumi domestici abbisognano di investimenti: è necessario assicurare il deflusso minimo vitale per i corsi d’acqua, affinché possano continuare a consentire la sopravvivenza delle specie che vi sono insediate, oltre a garantire i servizi ecosistemici.
di Walter Ganapini, membro onorario Comitato scientifico dell’Agenzia Europea dell’Ambiente