Prendendo spunto dall’omonimo libro pubblicato a giugno scorso, l’autrice propone un ciclo di appuntamenti per riflettere sulle opportunità legate all’AGENDA 2030 e sugli strumenti a disposizione delle nostre PMI per superare la crisi, partendo da un assunto, ormai incontrovertibile: “nessuna impresa può prosperare in un contesto depresso”.
Una lettura “leggera” dell’idea di cambiamento dedicata alle PMI che intendono attivare il CSRGATE per mettersi in viaggio o predisporre la virata, suggerendo come impostare la bussola, definire i punti mappa e predisporre le dotazioni di bordo. Ma con una certezza, da qualsiasi punto parta il viaggio, una volta iniziato, è destinato a generare una somma di ricadute positive e di vantaggi competitivi tali da non voler più neanche immaginare alcun cambio di rotta.
Abbiamo anticipato nella scorsa puntata alcuni dei trend che confermano come la sostenibilità abbia acquisito “finalmente” il ruolo di fattore imprescindibile per affrontare le sfide globali favorendo nel contempo la crescita ed il successo delle nostre imprese. Ne abbiamo individuati 5:
• Persone e Pianeta, la cura della casa comune e dei suoi abitanti. Tu che fai?
• Cosa chiedono clienti e finanziatori? L’affidabilità dell’impresa dietro l’etichetta.
• Dalla customer satisfaction alla stakeholder satisfaction.
• Il valore del rischio e della programmazione.
• CSR5.0, il capitale umano nell’era digitale.
Partiamo dal primo trend citato e riprendiamo il Modello delle 5P Persone, Pianeta, Prosperità, Pace e Partnership che riassume e porta a sintesi le aree d’intervento dove ciascun attore, ed in particolare l’impresa, può scegliere di concentrare impegni e risorse per migliorare i suoi impatti e performance in coerenza con i valori aziendali, la natura del suo business e suoi obiettivi, generando ulteriore valore aggiunto proprio dalla lettura dei suoi risultati secondo i 17 obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’AGENDA 2030, come evidenza del contributo dato al loro perseguimento in un linguaggio condiviso a livello globale.
Persone (SDGs 1, 2, 3, 4, 5). Se l’impresa è labour intensive, cioè ad elevato impiego di risorse umane nella generazione di valore, oppure propone prodotti e servizi destinati al mercato consumer o addirittura ha nel suo core business la soddisfazione di un bisogno sociale, allora le strategie potranno essere orientate a favorire l’inserimento di giovani, donne, disabili ed altre categorie “deboli”, a migliorare le condizioni di lavoro, salute, sicurezza e benessere dei dipendenti con percorsi di crescita professionale e nuovi strumenti di welfare, favorendo un contesto lavorativo caratterizzato dal dialogo e dal coinvolgimento per rimuovere eventuali ostacoli al sereno svolgimento delle attività aziendali e puntare al miglioramento continuo, in un giusto equilibrio tra lavoro e vita privata, promuovendo la cultura della sostenibilità a tutti i livelli aziendali. Del resto, sappiamo bene che un dipendente motivato e coinvolto nei processi decisionali può portare “valore inatteso” se messo nelle condizione di esprimere appieno il suo potenziale (Empowering people, la possibilità di ciascuno di essere migliore dando il meglio di sé).
Oppure l’impresa potrà puntare a rafforzare forme di tutela del consumatore oltre gli obblighi di legge, sul fronte delle risoluzioni delle controversie (vedi clausola di mediazione nei contratti e conciliazioni paritetiche) ma anche in tema di reclami e segnalazioni, composizione e tracciabilità dei prodotti, con politiche chiare e trasparenti magari condivise con le principali associazioni di categoria di riferimento, al fine di migliorare in toto la qualità del servizio, la soddisfazione dei clienti e loro fidelizzazione. Non da ultimo l’orientamento a strutturare, correttamente e periodicamente, processi di ascolto delle esigenze e delle aspettative del target di riferimento al fine di identificarne specifiche istanze e linee di intervento, cui puntare politiche e programmi dedicati.
Pianeta (SDGs 6, 7, 13, 14, 15). Quando l’impresa è particolarmente energivora, impiega molte materie prime e risorse naturali preziose, oppure immette nell’atmosfera particolar quantità di CO2 o altre sostanze nocive, è chiaro che le attenzioni devono essere particolarmente concentrate nel progressivo miglioramento degli impatti oltre il rispetto della normativa vigente, efficientando il processo produttivo in termini di consumi, gestione dei rifiuti e approvvigionamento delle risorse necessarie, possibilmente in ottica di economia circolare. Processi sempre più legati alla implementazione di soluzioni tecnologiche innovative, spesso oggetto di finanziamenti, incentivi e contributi. Determinante, ancor di più in questi casi, è la misurazione di tali impatti, attraverso indicatori di performance dedicati, al fine di comprendere la portata degli interventi da programmare, divulgandone i risultati raggiunti attraverso una dichiarazione ambientale, un bilancio sociale o un bilancio di sostenibilità. Se poi l’impresa propone prodotti e servizi per migliorare gli impatti ambientali di altre organizzazioni come suo core business, ancor più utile è dare evidenza delle risultanze che tale offerta è in grado di garantire, qualificando ulteriormente la proposta di valore e dunque la sua competitività sul mercato di riferimento.
Questi come alcuni utili esempi di possibili impegni e strategie per puntare alla sostenibilità dando evidenza della capacità dell’impresa di partecipare concretamente al cambiamento verso una società migliore per le generazioni di oggi e quelli di domani. Un contributo quanto mai atteso, oggi, dal mercato in generale e dalla platea dei clienti e finanziatori ed altri stakeholder dell’impresa, più in particolare, che fanno ormai e sempre di più le proprie scelte di acquisto ed investimento in base ai comportamenti assunti dalle imprese, considerando le performance economiche ma anche quelle ambientali e sociali e valutando il modo di gestire le attività per comprenderne la serietà, credibilità e dunque la loro affidabilità. Ed è proprio in questo senso che oggi l’impresa deve necessariamente chiedersi quale valore ha la sostenibilità nel modello di business adottato? Cosa sta facendo in concreto per migliorare se stessa nella sua capacità di partecipare al cambiamento? È tra i leader che tracciano la strada o tra i follower che inseguono a fatica, stando sempre un passo indietro, la nuova chimera della Sostenibilità? E soprattutto quanto di questi impegni e risultati è portato correttamente a conoscenza del mercato per “conquistare” la fedeltà dei suoi clienti e consolidare la sua reputazione?
Del resto, il primo impegno aziendale non sta proprio nel garantire la sua sussistenza e dunque la sua produttività nel tempo? E per farlo l’impresa si nutre, di certo, del patrimonio di risorse, materiali ed immateriali, spesso offerto dal territorio in cui insiste e dalla comunità in cui opera. Ma se prende, deve anche restituire affinché il suo “bacino di approvvigionamento” non si impoverisca, perché – ripeto – nessuna impresa può prosperare in un contesto depresso. Prendere in carico e contribuire a migliorare lo “stato di salute” di quel dato contesto significa ridurre i rischi di impatti negativi sulla capacità produttiva dell’impresa e proteggere la sua stabilità nel tempo. Pertanto se è da considerarsi eticamente corretto che l’impresa si assuma la responsabilità di tutelare persone e ambiente, contribuendo alla “prosperità” del territorio in cui opera, è altrettanto vero che le aziende saranno sempre più consapevoli (perché sarà anche la concorrenza a ricordarglielo) del vantaggio competitivo generato dall’integrazione di tale visione nelle strategie aziendali, capace di creare nuove opportunità di crescita e sviluppo per l’impresa e nel contempo per il territorio in cui si muove in una logica win/win.
di Raffaella Papa, Presidente Associazione Spazio alla Responsabilità