Combattere la corruzione, scomunicare le mafie: esempi importanti da OltreTevere, di Walter Ganapini

Da sempre si sa che senza legalità (e senza democrazia e partecipazione) non c’è sostenibilità. Rende onore a Papa Francesco constatare come promuova riforme coerenti con tale assunto. Egli ha anzitutto introdotto nuove norme anticorruzione per i dirigenti vaticani, stabilendo che i capi-dicastero, Cardinali e non, i dirigenti laici della Santa Sede e tutti coloro che hanno funzioni di amministrazione attiva giurisdizionali o di controllo e vigilanza dovranno sottoscrivere, al momento dell’assunzione e poi rinnovare con cadenza biennale, una dichiarazione anticorruzione.
In tale dichiarazione si dovrà attestare di non aver riportato condanne definitive, in Vaticano o in altri Stati, di non aver beneficiato di indulto, amnistia o grazia e di non essere stati prescritti, di non essere sottoposti a processi penali pendenti o a indagini per partecipazione a organizzazione criminali, corruzione, frode, terrorismo, riciclaggio di proventi di attività criminose, sfruttamento di minori, tratta o sfruttamento di esseri umani, evasione o elusione fiscale.

La norma prevede poi che non si possano accettare doni personali di valore superiore a 40 Euro. In occasione della Beatificazione del Giudice Livatino, vittima di mafia, Francesco ha dato inoltre vita ad una ‘Commissione di studio sulla scomunica alle mafie’, dando corso all’emozionante monito in tal senso lanciato da parte di S. Giovanni Paolo II° nella Piana di Agrigento.
Della Commissione sono stati chiamati a far parte, tra gli altri, Don Ciotti e l’ex Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia Rosy Bindi. Penso anzitutto sia rilevante sottolineare l’importanza dell’iniziativa del Pontefice nel momento in cui il Paese in cui viviamo vede l’impegno adamantino di uomini dello Stato, dai Procuratori Di Matteo, Gratteri, Cafiero de Raho e tanti loro Collaboratori, Magistrati e donne e uomini delle Forze dell’Ordine, che raccolgono il testimone da Falcone, Borsellino, Livatino, Chinnici, Terranova, Scopelliti e centinaia di altre vittime di mafia, mentre parti deviate di apparati delle Istituzioni e loro referenti e padrini politici, economici e finanziari conducono una trattativa con l’antiStato, sottesa dall’incessanti ed inquietante ritorno in scena di agenti depistatori e provocatori, trattativa certo non focalizzata a tutelare l’interesse generale, i beni comuni, i valori della persona e della comunità.

La chiamata di Francesco a Rosy Bindi mi consente di riflettere qui su come corruzione, intrusione di famiglie criminali e cattiva politica interagiscano determinando pesante inquinamento di ogni prospettiva di crescita di mercato, impresa e lavoro nel senso dello sviluppo sostenibile. La riflessione attiene un recente intervento della Presidente Bindi relativamente ad importanti indagini in corso in Toscana circa smaltimenti illegali di rifiuti pericolosi, a partire dai fanghi conciari, da parte di ‘ndrangheta, ambienti massonici deviati, figure pubbliche conniventi, controllori, quando attivi, tacitati.

E’ molto importante che la Presidente Bindi abbia voluto far sentire la propria voce al riguardo in una Regione, la sua, che dovrebbe imperniare il proprio futuro sulla valorizzazione, con il contributo essenziale di innovazione scientifica, tecnologica e gestionale, della propria qualità ambientale, storica, culturale, paesistica, artigianale ed industriale. Il tema dell’impatto ambientale e sanitario dei rifiuti dell’industria della concia al Cromo è drammaticamente all’ordine del giorno da decenni: ricorderò sempre come il pomeriggio del 10/6/81 venni a sapere del piccolo Rampi caduto nel pozzo di Vermicino dal Dr. Gadaleta, bibliotecario a S. Croce sull’Arno, al termine di una conferenza sui fanghi conciari che lì tenni, tra le tante iniziative che come ENEA e come Legambiente sviluppammo da S. Miniato di Pisa al Consiglio Comunale di una Pontedera che aveva Enrico Rossi Sindaco.

La soluzione auspicabile, ambientalmente ed industrialmente, appariva già allora chiara:
– cessare di scaricare reflui al Cromo in fossi e torrenti, assicurando cicli di trattamento depurativo e smaltimento rispettosi delle norme;

– rifuggire dalle ‘sirene’ della diluizione dei fanghi in altre matrici (o della calcinazione) per tagliare costi di produzione in un mercato globale deregolato dove crescevano competitori una volta solo fornitori di pellame che diventavano trasformatori in proprio di tali materie prime, il cui prezzo così saliva, competitori cui la nascente globalizzazione deregolata consentiva di operare senza vincoli, dal costo del lavoro alla salute operaia e dell’ambiente;

– accelerare il passaggio al processo di concia al vegetale per cuoio e pellami da valigeria rigida;

– impegnare Enti di Ricerca per l’innovazione di processo e prodotto nel settore dei pellami morbidi da tomaia di scarpe, borse e capi di vestiario.

Purtroppo, dal comprensorio toscano di S. Croce s/Arno a quello vicentino del Chiampo fino a quello campano di Solofra, praticamente nulla è stato fatto, da allora ad oggi, per generare vera crescita di cultura industriale avanzata e competitiva, orientata alla qualità ed a quella che allora chiamavamo compatibilità ambientale e che dall’’87 definiamo sostenibilità. E’ noto che le associazioni di produttori toscani e veneti hanno anche sperimentato, verificandone la affidabilità, soluzioni avanzate di trattamento ‘end-of-pipe’ dei fanghi (es.: ossicombustione senza fiamma), ma alla fine si sono scelte le più semplici e meno costose ‘scorciatoie’ emerse dalle indagini citate dalla Presidente Bindi.
E purtroppo ancor oggi si riscontrano una politica indifferente (a volte connivente), organi di controllo depotenziati (e che comunque risultino ‘affidabili’) ed enti di ricerca non chiamati alla sfida di ‘tecnologie più pulite per prodotti più puliti’.

di Walter Ganapini, membro onorario Comitato scientifico dell’Agenzia Europea dell’Ambiente