Ecorubrica: “The green is in beta: la rivoluzione dei lavori verdi” M. Gisotti

Terzo lunedì dedicato ad approfondimenti firmati dai “protagonisti della sostenibilità”. E’ la volta di Marco Gisotti, Giornalista e divulgatore, Direttore di Tekneco e co-autore di “Guida ai green jobs”

Negli anni Novanta una copertina di Wired intitolava “The world is in beta”. Il riferimento, piuttosto esplicito, era riferito alla modalità in cui molti software, allora come oggi, prima di essere immessi sul mercato, siano testati in una versione che viene definita “beta”, ovvero non definitiva.
In termini evolutivi, il mondo è costantemente in beta: ogni punto di arrivo non è che la prova di ciò che verrà. Così come negli anni Novanta non esisteva l’espressione “green economy”. “Eco-economia” oppure “bio-economia” erano termini che, personaggi come Lester R. Brown o Nicholas Georgescu-Roegen, usavano regolarmente ma ancora ben lontani dall’opinione pubblica e dai mass media.
Quando nel 2008, il 4 novembre, Barak Obama nel suo discorso di insediamento alla Casa Bianca parlò esplicitamente di “green economy” e di “green jobs”, le due espressioni divennero, anche nel nostro Paese, di successo.
Era come se l’economia ambientale fosse uscita dalla sua fase di “beta test” per entrare pienamente nel mercato.
L’economista e imprenditore Gunter Pauli ha poi rilanciato, con la “blue economy”, una forma più profonda e radicale di economia verde, ispirata più direttamente ai principi della bioeconomia, radice alla quale pure si è rifatto il filosofo francese Serge Latouche con il concetto di decrescita felice.
Insomma, non c’è ancor ad oggi una definizione univoca e concorde di economia verde, al punto che in preparazione della Conferenza sull’ambiente tenutasi a Rione nel 2012, l’Unesco ha proposto un documento dal titolo assai evocativo “From green economies to green societies”. Un’evoluzione sostanziale da un concetto prettamente economico ad uno sociale.
La creazione di nuovi posti di lavoro, i cosiddetti “green jobs”, rappresentano forse la frontiera più estrema di questa trasformazione sociale.
Non si tratta solo di professioni che migliorano o preservano la qualità del nostro ambiente, ma si tratta di un nuovo approccio al lavoro in cui la qualità del tempo che impieghiamo a svolgerlo, la qualità dell’ambiente dove lo produciamo e la qualità stessa di ciò che produciamo non possono più essere vissute separatamente.
Un’utopia? Certamente, ma non come luogo impossibile da raggiungere ma come progetto da costruire. D’altronde, già oggi in Italia, nel silenzio generale e nella depressione che ci avvolge, un quinto delle nostre imprese (secondo Unioncamere nazionale e Fondazione Symbola) sono già verdi e danno lavoro a oltre sei milioni di lavoratori. Un’italiana e un italiano su dieci fanno già parte di questa rivoluzione silenziosa.
Un’italiana e un italiano su dieci – per dirla con Wired – sono in beta.