C’è un indissolubile legame tra il passato, custodito dalla memoria, la comprensione del presente e, quindi, la costruzione del futuro. In un mondo complesso, che predilige un ricordo sempre più “a breve termine” – e nella prospettiva che si va profilando di delegare anch’esso assieme alla memoria “a lungo termine” all’Intelligenza Artificiale – riscoprire questo principio risulta decisivo, per non cadere nell’oblio colpevole ed interessato, tanto individuale quanto sociale.
Oblio colpevole ed interessato perché la deresponsabilizzazione contemporanea delle persone verso la propria storia, è frutto di una chiara volontà del potere di pochi verso i più; una tale dominazione delle coscienze spinge a far credere nella possibilità di semplificare la vita e di risolvere i problemi, nascondendoli alla vista, attraverso una rapida rimozione per effetto di un’alta emotività scatenata da commozione, trauma e dolore, o per decisione voluta dall’autorità attraverso un processo di colpevolizzazione e/o strumentalizzazione del fenomeno sotto processo: facendo dissolvere l’esperienza tramandata, la storia, appunto, in un pesante accumulo di dati archiviati e da archiviare. Ma la storia non è fatta di dati, piuttosto di comportamenti.
“Fare memoria”, conoscere la storia per cambiare
Il processo di “fare memoria”, invece, è capace di donare, all’umana contemporaneità, delle grandi possibilità che si accompagnano inevitabilmente a grandi rischi: dei quali è necessario essere consapevoli perché alcuni di essi possono essere evitati essendo riconducibili a sbagli del passato, soprattutto nel momento in cui ci si rende conto di averne già assaggiato le amare conseguenze.
Rispetto alle grandi possibilità, il processo del “fare memoria” ripropone sempre il focus “da dove si proviene”, invitandoci a rileggere il lungo percorso della storia dell’umanità, della relazione dialettica tra la coscienza individuale e le varie forme di autorità, per meglio comprendere “verso dove si è diretti” ed a che “punto del cammino” ci si trova.
“Fare memoria” è conoscere la storia, fatta di tanti avvenimenti e comportamenti che dovremmo introiettare con incisività e ricercatezza, affinché diventino anche un po’ nostri. È provare empatia con quanto accaduto, sapendo discernere il bene dal male, perché si possa arrivare, di conseguenza, a cambiare noi stessi.
Ricordare tutto ciò che ci assomiglia e ci è prossimo, è quasi naturale. Ricercare il senso e ricostruire il significato di ciò che è diverso da noi (soprattutto quando gli eventi sono storici, agiti in epoche lontane dalla nostra) è un esercizio di volontà e di consapevolezza che contiene in sé la bellezza della civiltà e della responsabilità: così “fare memoria” diviene un atto civile, una responsabilità che ci prendiamo sul presente.
“Fare memoria”, dunque, è un’esperienza umana fondamentale, poiché rende presente e rende attuale ciò che di grande, bello, giusto è accaduto per farlo accadere di nuovo, qui ed ora. Se ricordare significa ridare il cuore a ciò che è accaduto, cioè far vibrare in sé quel fatto del passato, “fare memoria” è un ulteriore pezzo del processo, perché ci chiede di tenere quel fatto nel cuore, ma per riutilizzare e rimettere in gioco il Bene accaduto, il Bene generato, riproponendolo in modo dinamico, come progettualità futura.
Occuparsi dei Beni Comuni per prendere coscienza
Allora, un modo sapiente per prendere coscienza, e generativo per farvi ricorso, è occuparsi di Beni Comuni. Essi rappresentano la “memoria positiva” di un patrimonio che dà, e darà sempre, identità alla Comunità che li ha determinati, che li eredita, li reinterpreta e li cura.
La capacità di ricercare la memoria del patrimonio comune richiede un affinamento dello sguardo; esso attecchisce e fruttifica nella normalità del quotidiano e non è esaltato dalla cultura mediatica. Bisogna avere occhi per scrutare nelle trame più riposte della storia del bene. Ricordare e “fare memoria” di ciò che è stato fatto in tal senso (per il bene diffuso e di tutti) non è un’operazione intellettuale, ma propone azioni concrete che hanno a che fare con gli ambiti della solidarietà e con la storia della “liberazione” e dello sviluppo positivo della nostra casa comune. Significa avere consapevolezza del processo democratico, del cammino, dell’umanità. In questa prospettiva i Beni Comuni assumono la forma di fotogrammi di Comunità che dimostrano ed attestano il successo del bene per tutti, la realizzabilità di una vitalità sostenibile e di benessere diffuso a portata dell’intera collettività.
Senza memoria non solo non esiste il passato, con tutto il suo patrimonio di esperienze, di valori e di Beni Comuni, ma anche il presente ed il futuro risultano compromessi.
Atti di speranza
“Fare memoria” dei Beni Comuni, per tutti coloro che si adoperano per essi, significa promuovere atti di speranza. Significa ricucire la speranza per un futuro di alleanze virtuose e ricreare una prospettiva capace di lenire gli strappi con il passato ed il presente.
Di fronte alla crisi nodale della nostra epoca che è la perdita del senso e della spiritualità della storia e della cultura integrale dell’umanità rispetto al Creato che l’accoglie – appellata come profonda crisi antropologica – il prendersi cura dei Beni Comuni può giocare, nell’invisibilità delle pieghe del quotidiano, e nella concretezza, la propria partita vittoriosa. La storia in sé è un Bene Comune.
Professoressa Cinzia Rossi, Corso di “Antropologia Organizzativa”, Tesoriera di Fondazione Communia, Consigliera UCID Roma Referente Commissione Formazione Etica a supporto della DSC