Giornalismo e salvaguardia del creato di Alfonso Cauteruccio, Presidente Greenaccord Onlus

Per i Lunedì d’autore “Giornalismo e salvaguardia del creato” di Alfonso Cauteruccio, Presidente Greenaccord Onlus

Credo che un giornalista specializzato sui temi ambientali debba avere come priorità non solo la qualità di ciò che produce professionalmente, ma anche la capacità di sensibilizzare i cittadini su scelte di vita e modelli che possano concretamente aiutare a recuperare il rapporto conflittuale e disarmonico che l’uomo ha con la natura.
È chiamato, pertanto, a far riflettere quanti leggono, ascoltano e seguono, su alcuni luoghi comuni e tendenze che connotano il nostro modo di agire quotidiano.
Francesco, nell’enciclica Laudato si’ stigmatizza tali comportamenti: «Gli atteggiamenti che ostacolano le vie di soluzione, anche fra i credenti, vanno dalla negazione del problema all’indifferenza, alla rassegnazione comoda, o alla fiducia cieca nelle soluzioni tecniche » (n. 14). Il negazionismo è un tentativo di esorcizzare il problema e rappresenta un sentire molto diffuso. La complessità delle tematiche ambientali porta gli scienziati, a volte, ad essere in disaccordo, accade così che studi o ipotesi di pochi finiscono per essere cavalcate da chi sostiene che il problema non c’è.
Ma il negazionismo ha anche un risvolto più subdolo che è quello di relativizzare o minimizzare i problemi: è vero che potrebbe accadere un fenomeno avverso, però ciò rientra nello svolgersi ciclico del tempo della natura e, comunque, non se ne conoscono bene i contorni e gli sviluppi. Tale forma di negazionismo è quella scelta dall’imprenditoria che ha molto da farsi perdonare.
Vincere l’indifferenza dei cittadini è un secondo traguardo. La democrazia moderna è spesso rimasta incompiuta nel senso che non è partecipata, ovvero si delega a pochi eletti di scegliere e decidere al nostro posto e non ci si attiva per capire a fondo le scelte politiche, diventando cittadini consapevoli e attivi. La rassegnazione, che il Papa definisce comoda, equivale al buttare la spugna, all’affermare che non c’è più niente da fare, che siamo impotenti.
Il giornalista può scuotere le coscienze e stimolare un percorso che vada verso il capire come e dove si può agire, verso l’impegno. La fiducia cieca nelle soluzioni tecniche è un voler scaricare le nostre responsabilità e la nostra inattività perché tanto inventeranno qualcosa che ci risolverà il problema.
Papa Francesco, sempre al n. 14, dà però una chiave di soluzione: «abbiamo bisogno di nuova solidarietà universale». Ossia sentirci veri cittadini della casa comune, consapevoli che ogni nostro gesto positivo è un gesto di solidarietà universale, volto a migliorare la vita dell’ecosistema e dell’intera umanità.
Tali sfide, che potrebbero apparire titaniche per il giornalista, sono invece affascinanti e direi accattivanti perché presuppongono una professione non sedentaria ma di azione.
Suggerisco ai giornalisti che vogliano specializzarsi in ambiente tre linee d’azione: impegno culturale, denuncia e vigilanza, costruzione di reti di speranza.

L’impegno culturale, che deve condurre necessariamente a sviscerare argomenti difficili e ostici per renderli comprensibili ai cittadini, presuppone la voglia di aggiornarsi continuamente. La denuncia e la vigilanza rendono i giornalisti delle autentiche sentinelle sul territorio, capaci di accompagnare e facilitare processi di sostenibilità ambientale, di segnalare le scelte che non vanno in questa direzione e di vigilare affinché i cittadini non cadano nell’indifferenza, nella rassegnazione e nella inazione.
Infine, diventare costruttori di reti di speranza, significa valorizzare e diffondere idee e progetti che diano semi di speranza e contribuiscano a costruire un ambiente più armonioso e salutare. Ma significa anche mettersi in relazione con altri colleghi per condividere esperienze, dati, informazioni e frustrazioni.