La Giornata nazionale degli alberi si celebra ogni anno il 21 novembre e nasce per sensibilizzare sulle loro fondamentali funzioni. Gli alberi depurano l’aria, abbassano le temperature e rendono la città più rilassante a livello visivo (a patto che cura, sorveglianza e manutenzione siano metodiche e severe).
Molti di loro hanno superato avversità atmosferiche e terremoti ma anche guerre e cementificazioni, hanno assistito ad importanti eventi storici e grazie alla loro forza hanno attraversato i secoli. Gli vogliamo dedicare un racconto per ringraziarli della loro presenza.
Giornata nazionale degli alberi, il racconto “L’albero spudorato”
Nonostante non fosse nato lì si comportava come se su quella terra vi fossero le sue radici da sempre, era altezzoso anzi spregiudicato, attirava invidia e odio, attraversava le stagioni senza subirle, mai una debolezza, mai un momento di secchezza, mai un malanno. La posizione favorevole gli permetteva uno sguardo sulla valle, giù fino al campanile della vecchia chiesa. Era un albero audace e spudorato, un dissacratore, si beffava degli altri arbusti del bosco che con l’inoltrarsi dell’autunno perdevano le foglie ma lui no, restava dritto e vigoroso e nonostante non fosse imponente attirava il rispetto anche solo per quei fiori rosa acceso con cui si accendeva ad aprile. Un unico amico diffidente e disincantato gli restava in quella zona di montagna dove in inverno la vita era difficile, romantica per i turisti che accorrevano per le nevicate copiose, ma ardua per chi come gli alberi non poteva spostarsi. Tra loro la domanda più frequente era “Al primo posto metteresti la primavera”? Siiiii rispondevano in coro.
Le estati infuocate
Le ultime estati per carità anche quelle erano state tremende e torride, non aveva piovuto per mesi e un signore con la giacca giù in paese aveva vietato le irrigazioni, che patimenti in quei giorni, una siccità mai provata prima, una sete che toglieva la linfa, soccombere o reagire era il quesito che sgorgava ogni santo giorno, qualcuno se n’era andato e si era trasformato in legna da ardere o in mobilio, altri avevano resistito affondando le radici nella profondità della terra dove ancora si sentiva un pochino di umidità.
L’autunno non lo sceglieva mai nessuno perché quasi tutti perdevano la chioma e si sentivano spogli e tristi, alle persone piaceva calpestare quelle foglie che dal color del grano passavano al mandarino, dal muschio al marron glacé, i bimbi le raccoglievano come trofei, e alcune signore le usavano per comporre quadretti rustici ma loro con quei bei rami, fino a poche settimane prima ricchi di frutti o di fiori seccava parecchio restare nudi e poi per carità l’inverno carico di gelo e vento spaventava chiunque ma non lui l’albero audace, quello con le foglie sempre fitte e color bottiglia, quelle bottiglie che in zona usavano per produrre un vino sincero che rallegrava le sere davanti al camino.
L’albero affamato di vita
Lui, l’Albero di Giuda, era ingordo di vita, scrutava, studiava e poco gli importava se davvero il traditore di Cristo si fosse tolto la vita sotto un suo antenato, duemila anni e rotti erano sufficienti per dimenticare una storia ancora avvolta dal mistero. Vicino a lui la faggeta e le querce secolari delineavano il paesaggio ma non provavano gratitudine per lo spudorato vestito con un tripudio di fuxia che anche da lontano abbagliava gli amanti del trekking che percorrevano un sentiero di montagna fino al paradiso, un luogo così selvaggio e aspro che tanti famosi “spaghetti western” erano stati girati fra le sue rocce e le sue altezze.
L’amico Pino era davvero l’unico rimasto con cui confidarsi, non si abbandonava alle intemperanze e seppure non avesse come argomento preferito la filosofia teoretica o l’astrattismo di Mondrian almeno non era rapito dal lato oscuro, quella zona ombrosa che caratterizza gli esseri viventi e che li porta a compiere gesti talvolta orrendi. La loro era un’amicizia semplice, non una rivoluzione copernicana, ma comunque un aiuto per affrontare il mondo distopico e godere insieme di quel paesaggio dipinto da un pennello superiore e della forza della natura che spesso, aggredita, emetteva sentenze inoppugnabili e sapeva colpire duro ma era capace di regalare ad ognuno momenti di vera poesia soprattutto in quel bosco magico dove il pensiero andava alle Baccanti di Euripide avvolte nell’edera, sacerdotesse di quei luoghi e dove nelle giornate terse si godeva un tramonto di sole incendiato, una palla rosso fuoco che si stagliava in un orizzonte nitido.