La cucina come strumento di condivisione e di dialogo. Il cibo come mezzo per combattere rigurgiti razzisti e ritrovare il filo conduttore che accomuna i popoli. Poche cose infatti sono tanto universali e trasversali alle diverse culture da poter essere trasformato in elemento di pace, di congiunzione e di inclusione.
Ma il valore del cibo, nella società consumistica e votata al profitto, è troppo spesso trasformato nell’ennesima forma di profitto che danneggia la salute, le popolazioni locali e l’ambiente. Occorre un cambio di passo per riconsegnare a questo elemento fondamentale per la vita collettiva i suoi valori positivi. Come riuscirci?
“Le cose da fare non mancano: rivoluzionare gli stili di consumo, ripensare le tecniche di produzione e ricostruire le filiere agricole facendo riscoprire loro i saperi tradizionali, in modo da ridurre l’impatto ambientale e sociale dell’agricoltura e riaffermare la centralità dei piccoli produttori”. L’analisi è di Alfonso Cauteruccio, presidente di Greenaccord Onlus, associazione di giornalismo ambientale che il 4 dicembre prossimo, insieme alla Regione Lazio e all’Arsial (Agenzia Regionale per lo Sviluppo e l’Innovazione dell’Agricoltura del Lazio) organizza a Roma nell’Aula Magna dell’Augustinianum una giornata di studio “Attorno al cibo per costruire dialogo, incontro, confronto e pace”.
Nel corso dell’incontro verranno raccontate storie di integrazione rese possibili dalle produzioni alimentari. Tra queste l’esperienza di Semi di Libertà Onlus, che ha realizzato un microbirrificio all’interno del carcere romano di Rebibbia e il ruolo dell’agricoltura sociale in favore delle persone con disabilità attraverso la testimonianza di Salvatore Stingo, presidente Agricoltura Capodarco.