Intervista a: LUCA MERCALLI, divulgatore ambientale e Presidente Società Meteorologica Italiana
1) E’ scientificamente provato, ormai, che i cambiamenti climatici siano causati dai cattivi comportamenti dell’uomo e che la Terra rischia di diventare un pianeta invivibile. I media, però, continuano ad avere un approccio disinvolto all’argomento, talvolta drammatizzando le notizie a beneficio della spettacolarizzazione, altre volte ignorando del tutto la gravità del problema. Lei che ne pensa?
La cooperazione dei media è un punto fondamentale per risolvere i problemi ambientali. Oggi è scarsissima, se non per quanto riguarda i mezzi d’informazione specializzata, che tuttavia hanno un’audience minore e già sensibile: mancano, invece, i media mainstream, ossia le grandi testate e la televisione. I social li metterei in secondo ordine, perché c’è un grande rumore di fondo. Le persone, invece, attribuiscono un carattere di autorevolezza o di priorità ad una data notizia, se la vedono ripetuta anche sui media tradizionali. I social poi hanno un ruolo importante nel diffonderla e nel proporre approfondimenti, però in genere non sono sufficienti, perché c’è tutto e il contrario di tutto, è un ambiente troppo confuso, non si riesce mai ad avere una fonte più autorevole di un’altra. Nonostante tutto, una cosa detta ad un telegiornale, analizzata e ripetuta più volte nel tempo, entra più facilmente nella testa delle persone. E’ un problema comune a tutto il mondo, tanto che è stato riconosciuto come una debolezza delle politiche ambientali dalle stesse organizzazioni internazionali che si occupano dei problemi ambientali, come l’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), e anche le stesse Nazioni Unite sostengono che senza l’informazione non si riesca ad incidere realmente sulle coscienze collettive. All’interno di questa problematica mondiale, l’Italia purtroppo non brilla per qualità. Ci sono nel mondo rari esempi di quotidiani o tv che fanno un ottimo lavoro di informazione, mentre noi siamo un pochino indietro. Un grande quotidiano con una sezione ambientale di eccellenza è il Guardian : si potrebbe prendere a modello. Niente a che vedere con le sezioni tematiche dei nostri giornali, per non parlare della tv. Io sono un operatore dell’informazione, ho spazio su questi media, ma sempre poco, e non è mai un luogo di riflessione, troppo limitato a commenti temporanei: sono chiamato a fare un breve commento su un’alluvione, ma poi a questo non si ricollegano riflessioni importanti per elaborare strategie a lungo termine. Questa esigenza è stata recentemente interpretata da un gruppo di giornalisti scientifici, che hanno fondato la Federazione Italiana Media Ambientali: da un lato ribadisce la centralità di questo problema, e dall’altro cerca di proporsi in modo più compatto nei confronti del mondo dell’informazione italiana. Si rischia, altrimenti, che gran parte del lavoro della scienza vada sprecato, sia inefficace, e la tecnologia continui ad andare un po’ dove tira il vento, a seconda di quelle che sono le mode del momento.
2) Nonostante l’avvicendarsi al Governo degli schieramenti politici, le tematiche ambientali continuano ad essere poco “frequentate”. Ritiene necessario un cambio di strategia e visione da parte decisori pubblici?
E’ assolutamente necessario. Mi sembra che qui giochino due elementi a sfavore di una maggiore attenzione. Il primo elemento è collegato alla scarsa informazione e quindi la poca pressione da parte dei media sui problemi ambientali produce una disattenzione della politica, che solitamente risponde alle sollecitazioni più gettonate. Se la gente parla di altri argomenti, il decisore tenderà ad assecondarli, a discapito di aspetti che vengono giudicati secondari dal mainstream. L’informazione potrebbe fare il primo passo, cioè far diventare l’ambiente una questione prioritaria. Spesso però le notizie sono pilotate da interessi economici e allora capiamo perché l’ambiente non è al primo posto. In generale, vale l’equazione “maggiore informazione: maggiore interesse della politica”. Il secondo punto, invece, è strettamente legato agli interessi economici. Oggi la politica è al servizio delle lobby dell’energia, del commercio, e quindi tende a rispondere ad esigenze del momento, spesso con un cortissimo orizzonte. Non credo ci sia solo un problema di ignoranza, cioè dalla mancanza di buona informazione, ma c’è proprio (in molti casi) un problema di priorità, e non si capisce che l’ambiente condizionerà tutta l’economia del futuro. Oggi, chi ci governa, parla esclusivamente di economia: soldi, crescita, tasse; non si capisce che c’è un profondo legame con gli aspetti delle risorse che arrivano dall’ambiente e la stabilità del nostro ecosistema.
3) Le guide Eco in Città contengono suggerimenti pratici affinché tutti i lettori possano essere più “sostenibili”, alleggerendo la loro impronta sulla Terra. Quali consigli vuole dare a chi vive in una grande città?
Li ho riassunti nel mio libro “Prepariamoci”, in cui auspico l’emergere di una nuova coscienza collettiva, un progetto che parta dal basso, che faccia persino a meno di una politica involuta e inoperosa, stremata da dibattiti sterili e conflitti d’interessi. Un invito a fare da soli, e a farlo prima che sia troppo tardi: in altri termini, rimboccarsi le maniche e dare l’esempio. Comincerei dalla casa, che è un grande dissipatore di energia. In secondo luogo i trasporti, prendendo in considerazione sempre più spesso il trasporto pubblico. Un terzo punto importante è il cibo, bisogna cercare di consumare cibo locale e stagionale, mentre il quarto punto consiste senz’altro nell’attenzione ai rifiuti, ovvero farne pochi e differenziarli.
In sostanza, cercare di sprecare meno, a tutti i livelli.