Intervista all’On. Prof. Lorenzo Fioramonti, già Ministro dell’Istruzione, di Massimiliano Pontillo, Direttore Eco in città

Dopo aver frequentato il liceo scientifico Edoardo Amaldi di Roma, situato nel quartiere di Tor Bella Monaca, si è laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata.
Diviene a 35 anni docente di economia politica presso l’Università di Pretoria, ed è direttore del Centro per lo studio dell’innovazione Governance (GovInn) dello stesso Ateneo. E’ inoltre Membro dell’Università delle Nazioni Unite. Alle elezioni politiche del marzo 2018 viene eletto alla Camera dei Deputati nel MoVimento 5 Stelle (da cui esce nel dicembre 2019 per aderire al Gruppo Misto). A settembre 2019 viene nominato Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca dopo aver ricoperto gli incarichi di Sottosegretario e Viceministro nello stesso dicastero. A gennaio di quest’anno annuncia la fondazione del partito politico Eco. L’ultima sua pubblicazione è “Il mondo dopo il Pil. Economia e politica nell’era della post-crescita”.

1) L’ambiente e l’Agenda 2030 sono entrati a pieno titolo nel dibattito politico?

Nella retorica sicuramente sì, nei fatti molto, ma molto di meno. Prendere sul serio la questione ambientale, la questione climatica, lo sviluppo sostenibile significa reimmaginare completamente la politica industriale e la politica economica del nostro Paese. A cominciare dalla Fase 2, che deve essere una fase in cui non si torna ad una normalità che era problematica in partenza, ma in cui si immagina un nuovo modello produttivo, le imprese del futuro, si incominciano a modificare completamente le politiche degli incentivi, togliendoli alle aziende che hanno effetti negativi sull’ambiente e sulla salute e incentivando una transizione industriale accelerata verso imprese di nuova generazione, società di benefit, che creano valore non solo a livello finanziario, ma anche a livello sociale ed ambientale.

2) L’Italia è stato il primo Paese a rendere obbligatorio lo studio del clima e dello sviluppo sostenibile. Una scelta importante, cosa si aspetta?

Sono orgoglioso di essere stato il Ministro che ha istituito l’obbligatorietà dello studio del clima e dello sviluppo sostenibile in tutte le scuole. Una scelta importante, che purtroppo in Italia ha trovato pochissimo spazio nel dibattito politico e anche nel dibattito mediatico, mentre è stata sulle prime pagine dei principali giornali di tutto il mondo per molto tempo. Dobbiamo assolutamente creare una cultura diversa, un modello di sviluppo diverso, e questo si fa anche a scuola e all’università. Si fa in tenera età, quando cominciamo a formarci come individui ed è importante capire che tutte le nostre azioni hanno degli effetti sistemici sul mondo circostante. Abbiamo bisogno di pensare in maniera trasversale. Abbiamo bisogno di economisti che siano formati in ecologia, ingegneri che sappiano costruire edifici e strutture compatibili con l’ambiente, medici che non siano soltanto in grado di curare le malattie o attenuare i sintomi, ma anche di far vivere bene le persone, pensando alla qualità della vita con un approccio olistico. E poi, il fatto che siano stati gli studenti in questi anni a ricordarci con forza la necessità di un’inversione di rotta sulla questione dei cambiamenti climatici e della riconversione ecologica dell’economia, pone la scuola davvero al centro di una rivoluzione globale. Quindi, io mi aspetto che l’Italia possa essere un punto di riferimento positivo per il resto del mondo e che si possa imparare da questa pandemia, per mettere finalmente la scuola e la formazione al centro di un nuovo modo di fare società e di fare cultura.

3) Lei ha sostenuto la discesa in piazza dei giovani italiani. Pensa che possano davvero essere i protagonisti del cambiamento?

Come dicevo, questi giovani adolescenti sono fonte di un’ispirazione profonda. Erano decenni che non si vedevano ragazze e ragazzi di tutte le età scendere in piazza, non per rivendicare una prerogativa personale, diretta, di parte, ma per svegliare il mondo di fronte alla più grande minaccia che l’umanità abbia mai dovuto affrontare. Non soltanto è una manifestazione di altruismo profonda, ma è anche un’attestazione di grande responsabilità e consapevolezza, perché il messaggio che mandano è un messaggio che dovremmo mandare noi adulti, cioè quello di ascoltare la scienza, di prevenire il disastro, piuttosto che correre ai ripari una volta che il danno è stato fatto. Sono convinto che stiano dimostrando una grandissima capacità di leadership e questo mi rincuora, perché penso che, dopo tanti e tanti anni di politiche conservatrici, di leadership reazionarie e di una tendenza a difendere prerogative di parte, forse siamo di fronte ad una generazione che sarà in grado di abbracciare il futuro con ottimismo e consapevolezza.

4) Digitalizzazione: siamo già nell’era smart o è un percorso appena iniziato?

Io mi auguro che l’era del lavoro intelligente, del fisco intelligente, della digitalizzazione consapevole sia cominciata. Ovviamente, le resistenze sono tante – culturali, ma anche politiche – e il rischio che sia soltanto una fase temporanea è molto forte. Però noi oggi scopriamo che lavorare meglio significa guadagnare di più. Non soltanto dal punto di vista economico (perché si spende di meno), ma anche dal punto di vista umano: guadagnare tempo, guadagnare relazioni, guadagnare qualità della vita. Tutto questo significa inoltre ridurre i costi per la società, abbassare l’impatto sull’ambiente, rendere la mobilità più intelligente. Forse, dopo molti anni di lotte scientifiche e culturali condotte da molti di noi, finalmente la società sta diventando consapevole del fatto che un modello di sviluppo migliore, che produca qualità (e non necessariamente quantità), che punti sulle relazioni umane, sulla qualità dei beni e dei servizi, è più avanzato ed innovativo del vecchio modello consumista. E che quindi il lavoro divenga sempre più equilibrato rispetto ai ritmi famigliari, che la burocrazia riesca ad essere più agile e snella, e quindi più efficace, e che lo stesso valga anche per le aziende nel modo in cui concepiscono la produzione dei tanti beni e servizi che consumiamo giorno dopo giorno.

5) Dopo cinquant’anni il Pil è in crisi: cosa significa?

Mah, il PIL è in crisi per molti motivi: è in crisi perché è in conflitto esistenziale con i limiti planetari, con i confini dell’ecologia (semplicemente non possiamo avere una crescita infinita di consumi e di beni materiali in un mondo con le risorse finite. Questo l’abbiamo sempre saputo, ma abbiamo deciso di ignorarlo), e poi anche perché è in conflitto con lo sviluppo tecnologico. Quando si lavora meglio, il PIL rischia di non crescere o di crescere solo limitatamente, perché ovviamente riducendo alcuni consumi, riducendo il traffico ed il tempo perso per recarsi al lavoro, noi ottimizziamo le risorse che abbiamo a disposizione, quindi un indice che semplicemente “somma” il consumo di beni e servizi potrebbe contrarsi. Il PIL inoltre non riconosce molti altri aspetti dello sviluppo tecnologico di questi ultimi decenni: in passato, anche per fare una telefonata dovevamo spendere chissà quanti soldi e quindi consumare, consumare, consumare… con una qualità del risultato spesso mediocre. Oggi invece, attraverso delle piattaforme online, molte delle quali completamente gratuite, open source, la cui proprietà intellettuale non è di nessuna azienda in particolare, possiamo comunicare in modo globale, lavorare in team, lavorare anche da casa con una altissima qualità. Ad esempio, utilizzando la blockchain per scambiare l’energia prodotta con i pannelli solari sul tetto di casa, possiamo creare comunità energetiche, scambi locali sostenuti da una tecnologia che ci permette di saltare gli intermediari. Che si tratti dell’affitto di casa, della produzione di energia o della spesa da fare al supermercato, questo significa ottimizzare le risorse che abbiamo a disposizione, riducendo gli sprechi: purtroppo, però, gli sprechi fanno crescere il PIL. Il PIL in qualche modo “cozza” con questa realtà: i limiti planetari, la consapevolezza crescente delle persone che bisogna cambiare rotta e una tecnologia che lo mette in difficoltà costantemente, perché modifica la nostra modalità di consumo in una maniera “ottimizzante” piuttosto che “massimizzante”.

6) Che evoluzione dovrà intraprendere l’economia, il sistema produttivo?

Io credo che il sistema produttivo, per rimanere sostenibile, debba andare verso quella che io chiamo un’economia del benessere, cioè un’economia che produca valore dal punto di vista finanziario, ma anche e soprattutto dal punto di vista ambientale e sociale. Noi non possiamo permetterci che la salute delle persone, per esempio, non sia considerata un indice di crescita economica. Non possiamo permetterci un sistema produttivo che non tenga in considerazione la salvaguardia dell’ambiente. Di conseguenza, le aziende che incidono negativamente sull’ambiente devono essere necessariamente sanzionate, tassando le esternalità negative e premiando le esternalità positive, ovvero tutte quelle attività che noi non misuriamo, il cui impatto paghiamo tutti come società. Abbiamo bisogno di un modello produttivo generale di crescita che vada in questa direzione. Un Paese non può crescere quando aumentano le disuguaglianze. Un Paese non può crescere quando aumenta l’inquinamento. Un Paese non può crescere quando buona parte della sua spesa pubblica è diretta, per esempio, al consumo di armamenti militari, no? E così via. Noi dobbiamo fare in modo che la crescita significhi qualità della vita, e quindi modificare il sistema produttivo, il sistema di contabilità nazionale, il sistema statistico, affinché chi oggi crea qualità della vita si veda in qualche modo ricompensato per questo, anche a livello fiscale. Tutte quelle aziende, quelle attività lavorative, che invece fanno l’opposto, che si vedano sanzionate e in qualche modo spinte a cambiare.

7) Anche il decisore pubblico dovrà adeguarsi: come?

Il decisore pubblico dovrà assolutamente cambiare, creando – come dicevo – un sistema fiscale, un sistema di contabilità nazionale che sia allineato. Siccome il decisore dà le indicazioni della direzione di sviluppo da intraprendere, è indispensabile che se da un lato la retorica politica comincia a parlare di Green New Deal, di sostenibilità e così via, a questo faccia seguito una riforma del sistema fiscale. Non si può immaginare un sistema fiscale che vada nella direzione opposta, che dà 17 miliardi di sussidi alle attività produttive che sono nocive per l’ambiente, che anche dal punto di vista dell’IVA, per esempio, non distingua i consumi nocivi alla salute e all’ambiente da quelli che invece fanno bene e che non riconosca la necessità di aumentare le aliquote di quei consumi dannosi. Non possiamo immaginare un sistema fiscale che non ricompensi le aziende virtuose da questo punto di vista, e che non sanzioni invece le aziende che virtuose non sono, anche creando risorse aggiuntive che servono ad aumentare il reddito dei lavoratori nei settori più produttivi dal punto di vista sociale ed ambientale, al tempo stesso aiutando le aziende che vogliono riconvertirsi a farlo nel più breve tempo possibile.

8) #NoPlanetB, il tempo è poco: ce la faremo?

Il tempo è pochissimo. Abbiamo perso tantissimi anni, se pensiamo che il primo rapporto scientifico sui cambiamenti climatici generati dall’aumento dell’anidride carbonica dovuta alla produzione industriale, risale agli anni ’60, quando venne presentato al Presidente statunitense Johnson. Da allora abbiamo fatto pochissimo: prima li abbiamo negati, abbiamo detto che non era vero e abbiamo trovato tutte le scuse possibili per non agire. Questo significa oggi che abbiamo davanti meno di 10 anni per realizzare un cambiamento epocale, e che quindi la questione non è più soltanto “farlo gradualmente”, bensì farlo in una maniera che sia virtuosa e al tempo stesso innovativa, ma con un accelerazione senza precedenti. Ora: se ce la faremo non lo so, ma dobbiamo provarci con tutte le nostre forze, come se fosse ancora possibile realizzarlo.

#agendapolitica #Pil #svilupposostenibile #ambiente #greendeal #scuola #giovani #cambiamenticlimatici #digitalizzazione #smart