Terra

La Madre Terra è la nostra casa: la sfida antropologica, di Cinzia Rossi – Biografia dei Beni Comuni

La Terra è un dono della creazione non è nostra, per questo dobbiamo amministrarla nell’interesse comune. Non è ad uso e consumo proprietario dei singoli e dei singoli Stati.
Da sempre l’essere umano, in un modo o in un altro, si è interrogato sul senso della propria esistenza, sul proprio posto nell’ordine dell’universo, sull’origine e sul perché del vivere insieme. Questo è uno dei principali quesiti che indaga l’antropologia. La cultura predominante contemporanea formulerebbe così la questione: “Il perché della Governance dell’uomo sul Pianeta Terra”.

L’attuale situazione di urgenza ambientale, date le sue matrici politico-economiche-finanziarie (il paradigma predominante antropocentrico), sollecita l’umanità a porsi nuovamente le antiche domande al fine di individuare percorsi che rendano possibile un ritornare a prendersi cura della “Casa Comune” che abitiamo, privilegiando una relazione di reciprocità tra di noi e tra di noi e la Natura.

Difenderla la Madre Terra per difendere noi stessi

L’essere umano e gli Stati devono comprendere quale ordine sociale (convivenza terrena) si possa organizzare per vivere meglio tra di noi e per vivere meglio la relazione con la Nostra Madre Terra.
La sostenibilità politica, sociale, economica/finanziaria, energetica-ambientale, sono da considerarsi come nuovi valori non solo di tutela dell’ambiente ma anche di difesa e di nuova valorizzazione della persona. L’uomo non è, e non può essere, solo consumistico o economicus, deve invece sempre più affermarsi come essere pensante del Terzo Millennio che ama la vita propria e altrui e quindi per questo, difendendo l’ambiente, ossia curando la Madre Terra, arriva a difendere sé stesso. Tutto ciò dovrà portare a nuovi concetti di convivenza sociale e quindi di cultura organizzativa del vivere e condividere assieme.

I teorici sostengono che l’organizzazione si formi per traguardare quelle attività che gli individui non sanno esercitare per proprio conto, o che non possono essere eseguite con altrettanta efficacia ed efficienza rispetto a quanto possibile con lo sforzo di un gruppo organizzato. L’uomo ha necessità di una relazione di fiducia con l’altro, questo è il principio perché possa avvenire la sua evoluzione ed il suo progresso sostenibile.

Per questo, anche la rampante innovazione tecnologia che si va prefigurando, dovrà rimanere pur sempre strumentale al funzionamento organizzativo di un sano convivere sociale, dovrà essere comunque rispondente alla giustapposta relazione tra uomo e natura, tenendo conto di parametri di sostenibilità ecologica, e rispondere ad un nuovo umanesimo integrale; non una tecnica che cerca solo uno sviluppo di apparati per produrre business, producendo diseguaglianze sempre crescenti e crisi cicliche nell’economia mondiale. Ma una tecnologia di condivisione, di elevazione della persona umana e di sviluppo senza che questo possa intaccare il capitale naturale, ovvero il benessere del nostro Pianeta.

Lo sviluppo è necessario ma va perseguito in modo etico

L’epidemia trascorsa è stata una grande simulazione, un grande “campo di battaglia” del “bene e del male”, dello sviluppo fino ad oggi perseguito e della rappresentazione dell’integrazione mondiale in atto da molti decenni.
Oggi abbiamo la capacità di riflettere e di cogliere le opportunità della crisi, l’Europa lo sta iniziando a fare, ma la comunità mondiale nella sua interezza fa ancora fatica a trovare indispensabili convergenze.

Si tratta non di bloccare lo sviluppo ma di costruirne un altro, regolamentando il presente ed avendo maggiore considerazione delle differenze sociali e economiche esistenti, della necessità del riequilibrio territoriale tra zone urbane e zone rurali e montane, dell’impellenza di non proseguire a consumare suolo vergine, di dovere rigenerare e manutenere le città e i boschi, avendo maggiore riguardo e cura della nostra Madre Terra, delle nostre montagne, dei nostri mari, della nostra biodiversità, capitali essenziali per la vita di ogni Uomo, di ogni Donna e di ogni essere vivente.

Da qui l’urgenza di costituire un luogo di incontro nel quale far convergere sensibilità e competenze differenti, accomunate dal desiderio di interrogarsi, essendo consapevoli che è attraverso una sinergia transdisciplinare ed una partecipazione diffusa (al “tutto è connesso” come ama ricordare papa Francesco nell’enciclica Laudato si’) che si possono individuare istanze capaci di fecondare ulteriormente il comune desiderio di abitare il nostro tempo. Fra gli altri luoghi d’incontro altrettanto significativi, nasce per questo anche il Corso Biennale di Antropologia Organizzativa, per formare esperti in sviluppo organizzativo per i beni comuni, che chi scrive ha il privilegio di coordinare.

L’importanza del senso di appartenenza

Diviene importante il rinnovato impegno – spirituale, teorico, pratico – di favorire una socialità che, nel valorizzare la persona (rileggendone anche i diritti esigibili e non esigibili), promuova un senso di appartenenza fondato sulla responsabilità condivisa, in funzione della famiglia umana.
Come direbbe Fabrizio Caramagna:

Non trovo da nessuna parte una traccia del diritto di proprietà degli uomini sulla terra, ma soltanto un diritto di passaggio.

La sfida antropologica, che la specie umana ha davanti a sé, sta nel riconoscere la Nostra Madre Terra come l’ambiente capace ancora di ispirarci verso sentimenti ancestrali di comune appartenenza, sta nel ricollegarci a questo luogo dove tutti noi ci incontriamo e che l’intera umanità condivide ed abita, la sfida antropologica sta nel prendere consapevolezza e difendere il nostro grande, primo e prezioso Bene Comune.
Il Pianeta è la fonte che ci fornisce abbastanza risorse per soddisfare i bisogni di ogni essere vivente, ma non l’avidità di ogni uomo.

L’intima relazione con la Nostra Madre Terra è l’unica che ci può garantire una equilibrata ed adeguata evoluzione umana.

Un giorno spero che saremo tutti patrioti del nostro Pianeta e non solo delle nostre rispettive nazioni – afferma Zoe Weil.

di Cinzia Rossi, Pontificia Università Antonianum