Lavoro green jobs

“We want green”, di Marco Gisotti – Green Jobs Place

Nel 1968 di 187 operaie addette alle macchine da cucire della fabbrica Ford di Dagenham (Londra) entrarono in sciopero per le troppe ore di lavoro precario a cui erano costrette. Guidate da Rita O’Grady, le loro rivendicazioni riguardavano soprattutto la discriminazione sessuale sul luogo di lavoro e la disparità salariale con gli uomini. Con loro si schierò la ministra Occupazione e la Produttività Barbara Castle.

Lo slogan che divenne famoso (e che dette il titolo anche al fortunato film di Nigel Cole con Sally Hawkins che rievocava quei fatti) era “We want sex” per colpa di una folata di vento che in una foto di cronaca aveva occultato la successiva parola “equality”.
Lungi, oggi, dall’aver risolto globalmente la questione della parità salariale o di aver aperto definitivamente l’accesso ai ruoli apicali all’equità di genere, il mondo del lavoro e della produzione è comunque cambiato profondamente.

Lavoro e ruolo delle competenze green

Quando agli inizi degli anni Duemila Van Jones teorizzava che le competenze green avrebbero cambiato la dignità sindacale dei lavoratori e delle lavoratrici, anticipava di poco le politiche sui green jobs dell’amministrazione Obama (di cui egli stesso avrebbe fatto parte).

Green jobs e saperi verdi sono oggi sui gradini più alti del recruiting da parte delle imprese. E sappiamo che la crescita delle competenze porta con sé una maggiore dignità e parità sul lavoro.
Tuttavia a questa domanda non sa ancora rispondere il mercato della formazione e di quella universitaria in particolare.

La formazione per gli universitari

Un recentissimo rapporto, messo a punto da Unioncamere e Almalaurea “Laureati e lavoro” evidenzia questo scollamento ma, allo stesso tempo, si propone come uno strumento di orientamento per i giovani per riuscire a comprendere verso dove curvare il timone della propria formazione, con utili schede che ad ogni professione fanno corrispondere i relativi percorsi di studio.

Ma le università soddisfano questa esigenza? Insomma. Lo dicono gli stessi dati raccolti da Almalaurea attraverso un sondaggio che ha coinvolto più di duecentomila laureati:

La valutazione espressa, relativamente al livello di approfondimento delle tematiche legate alla sostenibilità ambientale, è complessivamente insufficiente (in media 5,0 su 10) sia per i laureati di primo sia per quelli di secondo livello.

Ad essere leggermente più critiche rispetto al livello di approfondimento di tali tematiche sono le donne (4,8 rispetto a 5,2 degli uomini) che, si ricorda, le hanno affrontate meno di frequente durante il percorso di studio. Tuttavia, è importante sottolineare come i laureati che hanno trattato tali tematiche richiedano maggiore approfondimento degli argomenti relativi alla sostenibilità ambientale (in media a 6,5 su una scala da 1 a 10).

A tal proposito, non si rilevano differenze di rilievo tra primo e secondo livello, mentre sono in particolare le donne e i laureati STEM a volerle approfondire maggiormente (rispettivamente 6,6 e 6,7).
In altre parole, potremmo dire, che i giovani e le giovani di oggi, un po’ come quelle operaio degli anni Sessanta, avrebbero tutto il diritto di gridare “We want green”.

di Marco Gisotti, giornalista, divulgatore, esperto di green economy, comunicazione e green jobs

Fonte: https://excelsior.unioncamere.net/pubblicazioni/2022/laureati-e-lavoro