Le sartorie sociali milanesi: una buona opportunità per chi è meno fortunato

Sapete cosa vuol dire taivè? Filo nella lingua dei Rom, idioma parlato dalle donne che lavorano in questo Laboratorio di Via Adolfo Wildt 27 B. Realizzano gonne, borse e cuscini e si occupano di riparazioni di ogni genere grazie ad un progetto che la Caritas ha lanciato nel 2009. Fulcro di questo spazio è un grande tavolo intorno al quale le sarte si danno da fare. Anche servizio di stireria, produzione di biancheria da cucina e shoppers (Tel. 02 26822423 – www.caritasambrosiana.it/aree–di–bisogno/rom).

Grazie alla Cooperativa Alice nasce, invece, il marchio “Sartoria San Vittore”: abiti confezionati dalle detenute ed ex detenute del carcere omonimo. Propone la collezione “Evadere dal quotidiano”, con la creatività della stilista Rosita Onofri. Una linea adatta ad una donna dinamica ed elegante, sensibile ai costi e alla scelta dei materiali. Via libera all’abbigliamento e agli abiti da sposa, ai costumi teatrali, alla biancheria per la casa dai grembiuli alle tende, alle borse e sporte per la spesa, alle cinte di stoffa e sciarpe.
Il primo laboratorio di sartoria nasce nel 1992 all’interno del penitenziario e, qualche anno dopo, le stesse persone danno vita ad un secondo laboratorio esterno per continuare il mestiere imparato. Il progetto prevede anche la formazione delle detenute sulle tecniche di sartoria, dando loro la possibilità, una volta scontata la pena, di esercitare individualmente (Tel. 02 48 007267 –www.sartoriasanvittore.com).

Alla Sartoria del Laboratorio Procaccini Quattordici lavorano persone con disabilità psichica o appartenenti a categorie svantaggiate. Una cooperativa fondata nel 2000 ben attrezzata per ogni tipo di riparazione o confezionamento di abiti su misura. I volontari insegnano ai meno fortunati un mestiere che gli restituisce dignità. Importante anche il recupero dei vecchi tessuti da trasformare in qualcosa di ancora utile (Tel. 02 63632795/6/7 – www.laboratorioprocaccini.it).

di Marzia Fiordaliso