Mari pieni di plastica, piatti in tavola pieni di plastica

Sappiamo quanto impiega un flacone di detersivo a dissolversi nell’ambiente? Appena 400 anni. E una bottiglietta di plastica abbandonata? Solo 500 anni. Un sacchetto di plastica non riciclato ci fa compagnia per 20 anni. Sarà sarcasmo spicciolo ma dati del genere dovrebbero farci saltare dalla sedia e indurci ad organizzare seduta stante una perfetta raccolta differenziata, un riciclo minuzioso di ogni oggetto e una lista della spesa dove siano presenti solo prodotti alla spina e sfusi, privi dunque di packaging.

Una ricerca diffusa la scorsa settimana dall’Istituto di scienze marine del Cnr di Genova, dall’Università Politecnica delle Marche e da Greenpeace Italia, frutto dei campionamenti nelle acque italiane realizzati durante il tour Meno plastica più Mediterraneo dalla Rainbow Warrior, la nave ammiraglia di Greenpeace, ha evidenziato la grave presenza di microplastiche nei mari italiani. Obiettivo anche quello di studiare la quantità e la loro composizione.
Già eravamo a conoscenza del fatto che nell’Oceano Pacifico, tra la California e le Hawaii, bottiglie di plastica, giochi, scarti elettronici, reti da pesca e detriti vari galleggiassero nell’acqua, in un’area grande 3 volte la Francia tristemente nota come Great Pacific Garbage Patch, una discarica a cielo aperto in cui oggetti di uso quotidiano sono trasportati e poi depositati dalle correnti, scoperta nel 1997 dall’oceanografo Charles Moore.

La plastica, lo sappiamo, è un polimero sintetico derivante dal petrolio che ha avuto negli ultimi 50 anni devastanti picchi di produzione. Perché devastanti? Su circa 300 milioni di tonnellate che escono ogni anno dalle fabbriche circa 8 finiscono in acqua, inquinando l’habitat naturale e minacciano l’esistenza di centinaia di specie marine e, addirittura, le microparticelle (gli scarti col tempo si disintegrano in elementi più piccoli) invisibili ad occhio nudo, vengono ingerite dagli esseri umani, ad esempio attraverso il consumo dei frutti di mare ma anche dell’acqua in bottiglia.

Greenpeace chiede alle aziende alimentari di smetterla di produrre merci super imballate con la plastica e lo fa attraverso il lancio di una petizione, coinvolgendo ogni cittadino affinché si attivi fotografando e pubblicando la foto di un prodotto inutilmente super confezionato con plastica monouso; l’hashtag di riferimento è #BreakFreeFromPlastic (taggare la società responsabile).
Ogni minuto, ogni giorno, l’equivalente di un camion pieno di plastica finisce negli oceani, provocando la morte di tartarughe, uccelli, pesci, balene e delfini, non possiamo voltarci dall’altra parte.

Basta entrare in un supermercato o in un negozio per renderci conto di quanto inutile materiale viene utilizzato per confezionare alimenti, bevande, prodotti per l’igiene domestica e personale di cui, spesso e volentieri, potremmo fare a meno. Per fortuna la sporta della spesa classica è ormai vietata e sostituita con il mater-bi, materiale proveniente dal grano e totalmente biodegradabile e dal primo gennaio 2019 scatterà il divieto di commercializzare e produrre in Italia cotton fioc non biodegrabili. Niente è niente, qualcosa è qualcosa. Ma dobbiamo mantenere alta la guardia se non vogliamo peggiorare quello che già è, a tutti gli effetti, un disastro ambientale. Come? Cambiando modus vivendi e facendo sentire forte la nostra voce davanti alle aziende e davanti ai luoghi della politica.

di Marzia Fiordaliso