Oriente, Occidente, due culture, un incontro di Marzia Fiordaliso

“Affranta perdita tuo bimbo stop lontana fisicamente migliaia di Km ma vicina col cuore stop tua amica Francy stop”, rileggo le due righe di telegramma, una lacrima bagna la carta, mi rendo conto che non sto male solo per il bimbo che non è più dentro di me ma anche al pensiero che se la matematica non m’inganna sono diciotto mesi che non vedo Francy, mi sento un pò crudele, e sorrido quando rifletto sul fatto che ormai più nessuno manda telegrammi ma le azioni bizzarre sono tipiche della mia amica che prova un’avversione viscerale per la tecnologia. Cara Francy ti risponderò stasera al mio rientro, ora devo correre via, fuori la nebbia è fitta come l’ovatta e il traffico sarà nel suo momento di massima espressione, oggi tocca a me aprire il negozio, forse c’è già qualcuno in fila, il quartiere di Meguro-ku il venerdì brulica.
Incontro per le scale la Signora Shiba del piano di sopra, accenna un saluto, dopo cinque anni che vivo in questo palazzo mi guarda ancora come un animale raro, quando si convincerà che le unioni tra razze diverse sono previste anche dalla legge. Non mi importa nulla di lei. Hiroshi invece la odia ma è troppo giapponese per cantargliene quattro, quando la vede le fa un inchino stizzoso e passa oltre, lo trovo simpatico da morire quando gli si gonfiano le vene del collo.
In negozio entra una ragazzina, vuole comprare fiori bianchi per il compleanno di sua madre, ha un espressione dolce, mi commuovo al pensiero che in una quindicina di anni, anche mia figlia avrebbe potuto diventare così, mi spiace, forse ha lasciato in fretta la mia pancia perché non si è sentita abbastanza amata, non ho saputo trasmetterle la mia felicità, mi sono preoccupata di cose inutili, ho discusso per due mesi quasi ogni sera con Hiroshi sul nome che le avremmo dato. Non si capacitava di come io fossi certa che sarebbe nata una femmina e mi ostinavo a pensare ad un nome da bimba, oscillavo tra Oyuky, per rispetto del Paese che l’avrebbe accolta e Ginevra amata da Lancillotto come fosse stata l’unica donna sulla terra. Francy aveva riso quando le avevo comunicato la scelta dei nomi, ripeteva, ridendo come una sconsiderata, Ginevra, Ginevra, non è eccessivamente altisonante mi domandava, io mi ero offesa, quella mia lieve suscettibilità… e avevo detto d’accordo, allora mia figlia avrà un nome straniero che tu non sarai nemmeno in grado di pronunciare. Mio marito ne era compiaciuto, aveva vinto lui, non avrebbe dovuto vergognarsi per tutta Shizuoka il suo paese natale, già una moglie europea era stato difficile da mandare giù per quella piccola comunità, figuriamoci fargli accettare un nome ridicolo come Ginevra. Ma ormai è tardi per qualsiasi disquisizione, Oyuky-Ginevra non c’è più.
Mentre vago persa tra ore passate, un uomo mi chiede se ho già un Ikebana pronto da regalare alla sua fidanzata, si scompone in un sorriso quando gli propongo una composizione di fiorellini gialli, canne di bambù e ciottoli neri vulcanici che ho appena realizzato. Farà un’ottima figura stasera, mi ringrazia più volte e sparisce nella nebbia che non accenna a diradarsi, è tutta un po’ confusa l’atmosfera come la mia testa.
Al telefono che squilla come una sirena, riconosco la voce di mio marito, tenta di parlarmi in italiano, prova sempre quando sono triste, non capisco se si esibisce per generare la mia ilarità o per aiutarmi a sentire meno la nostalgia per il mio paese, è carino però e io che avevo spesso pensato che gli uomini giapponesi fossero freddi come ghiacciai. Ha una sorpresa per me, passeremo il fine settimana in un monastero Zen dove sogno di andare da quando sono arrivata qui: mediteremo, ci immergeremo in una natura mozzafiato e nelle terme di acque calde.
A cena stasera cucino il suo piatto preferito, mi mancano due ingredienti, uno dei quali è un’alga difficile da trovare, giro un paio di negozi di cibo, in uno non riesco a farmi capire dalla venditrice, sgrana gli occhi, mi ripete che è costernata ma non riesce a comprendere. Impreco sommessamente in italiano ed esco dopo un inchino ad angolo retto. Cerco aiuto tentando di rintracciare al cellulare Hiroshi, dopo un’ora mi risponde, penserà a lui a trovare quello che cercavo.
Quando sento girare la chiave nella serratura ho già preparato la tavola, tovaglia rosso fuoco, piatti di ceramica neri e bacchette di legno pregiato tramandate da generazioni, hashi con l’accento da non confondere con hashi senza accento che vuol dire ponte, certo con due ponti in mano non si può portare alla bocca nessun cibo. Mio marito mi punta addosso due occhi neri pieni di affetto e mi abbraccia forte come qualunque uomo innamorato di questo mondo.