FinEtica, di Chiara Bannella, Banca Etica

Il 10 marzo 2021 entra in vigore un primo tassello del pacchetto di normative europee pensate per definire finalmente quali prodotti finanziari possano essere definiti – e proposti sul mercato – come “sostenibili”. Tutti gli intermediari finanziari che vorranno pubblicizzare come “sostenibili” i propri prodotti dovranno adempiere ad alcune regole di trasparenza per permettere ai clienti – che siano persone fisiche oppure organizzazioni e imprese – di capire su cosa realmente investe il prodotto finanziario che si sta per acquistare.

E’ un primo passo importante nell’ambito di uno sforzo lodevole della Commissione UE che vuole favorire sempre più gli investimenti green e per farlo vuole prima di tutto regole chiare e trasparenza. Scorrendo la stampa specializzata si scopre però che la materia è molto complessa: le stesse autorità bancarie europee stanno chiedendo chiarimenti e in qualche caso rinvii per l’applicazione delle nuove regole che sono tutt’altro che semplici da implementare, a partire dalla definizione dettagliata di quali tipologie di attività economica sono sostenibili e dunque possono essere oggetto di investimenti sostenibili. Ad esempio si dibatte sul gas come fonte di energia: alcuni la considerano una fonte di transizione necessaria e più pulita di carbone e petrolio; altri ritengono che vada esclusa al pari delle altre fonti fossili,

Il movimento della finanza etica internazionale guarda con interesse alle proposte del legislatore europeo e non si è sorpreso poi così tanto delle difficoltà di cui già sembra disseminato il cammino verso la definizione e promozione normativa della finanza sostenibile. Le decine di banche etiche aderenti alla Global Alliance for Banking on Values (Gabv) e alla Federazione Europea delle Banche Etiche e Alternative (Febea) hanno infatti sviluppato e affinato nell’arco di 30 anni le proprie politiche per rendere il credito e gli investimenti realmente al servizio della salvaguardia del Pianeta, della dignità delle persone, del contrasto alle diseguaglianze.
Forti di questa esperienza di lungo corso, oggi i network della finanza etica accolgono con favore lo sforzo dell’Unione Europea ma rivendicano con convinzione le radicali differenze tra la finanza etica e i prodotti certificati come “sostenibili” che presto invaderanno ancora di più il mercato.

Modello olistico versus modello a scaffale
La differenza più immediatamente riconoscibile è relativa al modello di business: “olistico” quello della finanza etica; “a scaffale” quello della finanza sostenibile. La normativa UE si limiterà a “certificare” alcuni prodotti finanziari come sostenibili senza valutare l’operato complessivo degli intermediari che li collocano. Un intermediario può mettere a scaffale prodotti “green” mantenendo accanto ad essi prodotti che investono su fonti fossili, armi, etc. Gli operatori di finanza etica, invece, mettono la valutazione degli impatti sociali e ambientali al centro di tutti i prodotti finanziari proposti e di tutte le pratiche aziendali, incluse ad esempio le policy sulle remunerazioni dei manager; gli incentivi; etc.

Speculazione versus sostegno all’economia reale
La normativa UE non impedisce agli intermediari finanziari che vogliano dirsi sostenibili di continuare a fare un uso spregiudicato di strumenti speculativi e dei paradisi fiscali. Nessun limite viene imposto alle pratiche che generano bolle e instabilità; all’uso dei derivati come pure scommesse speculative; al trading ad alta frequenza. Gli operatori di finanza etica sono invece indissolubilmente legati all’economia reale: per noi gli strumenti finanziari sono finalizzati a finanziare imprese attente all’ambiente e ai diritti umani e a garantire un’equilibrata remunerazione del risparmio e degli investimenti. La finanza etica, inoltre, sostiene l’adozione di misure appositamente pensate per contrastare la speculazione, come la tassa sulle transazioni finanziarie.
Ad esempio, la cartolarizzazione dei mutui subprime – che fu all’origine della rovinosa crisi finanziaria del 2008 – non aveva particolari impatti ambientali. Sarebbe quindi accettabile come esempio di finanza sostenibile? Non sono purtroppo domande retoriche, se guardiamo alle attuali definizioni promosse in sede europea.

Proteggere l’ambiente… e non solo!
Nell’approccio dell’UE, la sostenibilità è definita quasi esclusivamente guardando alla componente ambientale. La finanza etica invece prende in considerazione ogni aspetto ambientale, sociale e di governance e anche le loro rispettive interrelazioni, e più in generale ogni impatto economico e non economico generato. L’analisi della sola dimensione ambientale potrebbe portare a valutare positivamente progetti, in ambito energetico o in altri settori, con impatti fortemente negativi. Un caso emblematico è quello delle grandi dighe: enormi progetti infrastrutturali nel nome dell’energia rinnovabile che possono però avere impatti devastanti dal punto di vista sociale, come lo spostamento forzato di intere popolazioni.

I prossimi mesi saranno decisivi per delineare – speriamo in modo chiaro e semplice per i risparmiatori e gli investitori – le diverse opzioni per la gestione del denaro: si configurerà un mercato in cui persone e organizzazioni potranno scegliere di affidare il proprio denaro a intermediari che continuano a operare come in passato senza fare alcuno sforzo verso la costruzione di un’economia più pulita e inclusiva; a intermediari che si certificano come sostenibili e che dunque si impegnano a conseguire almeno alcuni impatti ambientali positivi; oppure a intermediari etici che approfondiscono sempre più le analisi alla scopo di veicolare le risorse finanziarie verso iniziative con impatto positivo a 360° per creare occupazione, beni e servizi curando il pianeta, contribuendo al welfare, favorendo una sempre più estesa inclusione e coesione sociale.

La sfida è decisiva: la finanza privata avrà un ruolo cruciale nel sostenere gli sforzi per la ricostruzione. Basti pensare che – come ha evidenziato la Banca d’Italia – nel 2020 i depositi bancari sono cresciuti dell’11%. Famiglie e imprese italiane hanno risparmiato in meno di un anno e mezzo un totale 160 miliardi, quasi quanto la cifra resa disponibile dal Next Generation EU. Il modo in cui la finanza privata gestirà questo denaro sarà determinante per il futuro immediato del nostro Paese.