transizione Walter Ganapini

Rischio idrogeologico: senza Carta Geologica nè prevenzione nè gestione, di Walter Ganapini – Green Deal

Sappiamo quanto impattino gli eventi estremi generati da una Crisi Climatica ormai irreversibile sul nostro bellissimo e fragilissimo Paese, con un 81% di aree collinari e montane a forte propensione al rischio idrogeologico essendo state marginalizzate da un modello di sviluppo basato sulla concentrazione di insediamenti produttivi, infrastrutturali, residenziali nel restante 19% di aree di pianura.

Peraltro non si dimentichi che quei terreni di pianura, anzitutto essenziali per la produzione di cibo, come ha ricordato la Fondazione ReSoil durante i recenti “Stati generali per la salute del Suolo” (Rimini, 10/11 u.s.), hanno una dotazione di Sostanza Organica modesta rispetto a quella che si riscontra in Europa Centro-Settentrionale e impoverita da pratiche agricole oggi non appropriate ed anche dalla aridificazione in corso, resa palese dagli eventi siccitosi di questi mesi.

Rischio idrogeologico e consumo di suolo

Torna per questo conto rammentare anche qui che una raccolta differenziata dei rifiuti organici a regime in tutta Italia, secondo le stime del Consorzio CIC, porterebbe il Paese nel 2025 a produrre più di 9 milioni di tonnellate all’anno di frazione organica (13.000 addetti e circa 2,5 miliardi di Euro di indotto) da cui ricavare compost essenziale per riportare fertilità naturale al suolo.
Sappiamo che tale modello di sovra- e sotto-utilizzazione delle risorse è assoggettato alla ‘Legge dei Rendimenti Decrescenti’: i forti profitti da esso generati a favore di pochi saranno sempre enormemente inferiori ai costi sociali connessi alla non più rimandabile manutenzione e riparazione dei guasti indotti su ambiente naturale e benessere e salute delle popolazioni. Ho purtroppo visto da vicino troppi ‘disastri innaturali’, come li definiva il ‘WorldWatch Institute’ di Lester Brown, con perdita di vite umane a seguito di esondazioni e frane causate da regimi di precipitazioni intense e concentrate da riscaldamento globale, senza che ciò portasse alle urgenti politiche necessarie per il risanamento e la tutela del territorio, in un’Italia che ha consumato nei decenni fino ad oggi, cementificandoli, da 2 fino a 7 m2 di ‘greenfield’/secondo.

Fornire dati sullo stato dell’ambiente

Essere consapevoli che i problemi si possono affrontare e risolvere solo con una analisi sistemica di dati rigorosamente rilevati che sottendano vera conoscenza dei fenomeni da governare, via via aggiornata con monitoraggi accurati implica garantire che le agenzie pubbliche incaricate di programmare i controlli ambientali abbiano risorse umane e tecniche sufficienti a fornire adeguata informazione circa lo stato dell’ambiente in Italia, non guidate da logiche di tranquillizzazione ad oltranza di istituzioni e pubblica opinione né di allarmismo, men che meno se ingiustificato.

Coerentemente con tale approccio, da Presidente tra ’98 e 2001 dell’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (ANPA), incaricata di contribuire alla prevenzione del rischio naturale dalla legge 267/98 emanata dopo la tragedia di Sarno e Quindici, riferii alle Amministrazioni centrali interessate le prime conclusioni del nostro intervento nell’area irpina, a seguito degli eventi luttuosi del 15 e 16 dicembre 1999 in località Cervinara e S. Martino Valle Caudina. Ritenni necessario darne pubblica informazione scrivendo su “Il Sole 24 Ore” del 22 Ottobre 2000:

Si esce, con queste note, dal dovuto riserbo istituzionale, poiché le indagini sin qui svolte inducono a ritenere probabile, considerato il modificarsi dei regimi delle precipitazioni in qualche modo riconducibile al cambiamento climatico globale in atto, il ripetersi di tali eventi in non poche aree del Paese: non allarmismo genera questa nota, ma necessità di informazione e diffuso coinvolgimento delle istituzioni e delle comunità locali al fine di censire con urgenza, efficienza e competenza il rischio menzionato. In sintesi, l’Unità ANPA “Rischio Idrogeologico” che ha operato i primi dettagliati sopralluoghi in Irpinia ritiene che, nonostante alcune peculiarità specifiche dell’area, le cause dell’evento calamitoso siano da ricercarsi non tanto nell’estrema eccezionalità delle precipitazioni, quanto nelle modalità di sistemazione idraulica, urbanistica e agroforestale del territorio interessato. L’avere localizzato agglomerati urbani allo sbocco del Vallone Castello aveva già fatto vivere a Cervinara una seria emergenza idrogeologica nell’ottobre 1949, risoltasi senza perdite di vite umane e con danni materiali inferiori agli odierni. La situazione è stata aggravata, con gli esiti luttuosi del dicembre 1999, dalla successiva realizzazione di manufatti restrittivi del flusso di piena del Vallone, in gran parte canali artificiali tombati che attraversano gli abitati nel frattempo cresciuti, canali dimostratisi del tutto insufficienti a regolare forti portate idriche. E’ probabile che le considerazioni tecnico-progettuali alla base di dette canalizzazioni siano state errate sia per quanto concerne dimensionamento e architettura della situazione idraulica sia per quanto attiene la conoscenza effettiva delle caratteristiche del bacino imbrifero interessato.

L’Italia non si occupa della manutenzione

Realtà analoghe punteggiano il territorio nazionale: in Italia moltissimi sono i conglomerati urbani cresciuti allo sbocco di valli più o meno estese, spesso interessate da interventi di collettamento e intubamento dei corsi d’acqua allo scopo di accrescere il potenziale insediativo in tali aree. Secondo i tecnici ANPA spesso i calcoli progettuali che hanno definito le sezioni di tali collettori non hanno considerato come, per la natura prevalente del nostro suolo, le piene non possano ritenersi costituite da sola acqua fluente, bensì da un “debris flow” (in gergo), un flusso eterogeneo di densità variabile, includente tronchi, detriti, rifiuti che riducono la sezione di deflusso. In tali condizioni, con grande facilità i tubi vengono a otturarsi, costringendo il “debris flow” a fuoruscire e riconquistare la valle secondo le modalità storiche, quando non con maggiore pervasività, avendo l’intubamento, otturato, comunque ridotto la sezione di deflusso ‘”naturale”. Se lungo il ritrovato cammino “naturale”, il “debris flow” trova barriere costituite da edifici e insediamenti, il danno si fa ingente così come il rischio di perdita di vite umane. Per tentare di mitigare il potenziale impatto delle esondazioni sugli abitati, in più luoghi, in passato si provvedeva a realizzare briglie a monte.

Oggi, purtroppo è dato di riscontrare quasi ovunque che la scarsissima cultura della manutenzione presente nelle Amministrazioni italiane ha fatto sì che tali opere, via via interrate, non vengano più sistematicamente svuotate, divenendo così non solo inutili ma ulteriormente pericolose. Si fa urgente la necessità, quindi, che dalla Valtellina alla Sicilia si proceda subito a una ricognizione dettagliata del rischio paventato, per dare vita a un programma urgente di manutenzione e riassetto.
Nei limiti delle proprie risorse e delle proprie competenze di legge, il sistema agenziale ANPA-ARPA è oggi al lavoro in tal senso, con forme di primo coordinamento con i Servizi Tecnici nazionali e le altre Amministrazioni interessate, con un impegno che va oltre le previsioni di risorse umane e finanziarie consentite dalla normativa stessa, stante la priorità assoluta del tema rappresentato”.
Base di ogni strategia di intervento non poteva che essere la “Carta Geologica d’Italia”, esito atteso, dalla fine degli ‘80, del Progetto ‘CARG’ che prevedeva la realizzazione di 636 fogli geologici e geotematici alla scala 1:50.000 sull’intero territorio nazionale.

Nel 2001 la cancellazione di ANPA

Cancellata ANPA nel 2001, nonostante il riconoscimento fino a Bruxelles del contributo dato a riportare l’Italia in Europa in tema di ‘compliance’ ed ‘enforcement’ delle norme ambientali (forse le pulsioni di ritorno al nucleare rendevano sgradita una Agenzia trasparente e indipendente con competenze di legge anche in tale materia), ‘CARG’ si fermò per assenza di finanziamenti.
In questi anni, dice oggi ISPRA;

Lo studio, le sperimentazioni, il confronto tra i vari esperti, la crescita culturale dal punto di vista della conoscenza geologica del nostro territorio, hanno reso la cartografia ‘CARG’ indispensabile allo sviluppo sostenibile al centro dell’agenda della COP27.

Conoscere il territorio per prevenire i disastri idrogeologici

Il problema è che, a conclusione della elaborazione dei fogli avviati nell’ultimo triennio, si arriverebbe solo al 55% della copertura del territorio nazionale quando gli altri Paesi della UE hanno già da tempo completato la copertura geologica del loro territorio e avviata la fase di ulteriore aggiornamento.
E’ da irresponsabili, lo ripeto, non esserci ancora dotati dello strumento essenziale per leggere la vulnerabilità del nostro territorio, al tempo di una uscita dall’Antropocene accompagnata dagli eventi estremi da crisi climatica e dalle altre crisi sistemiche in atto.
P.S. Per favore, cessiamo di chiamare quel che accade ‘bomba d’acqua’ e ‘bomba di fango’!

di Walter Ganapini, membro onorario Comitato scientifico dell’Agenzia Europea dell’Ambiente

(Articolo ricevuto il 19 novembre)