Siamo un Paese in “via di sviluppo sostenibile”? L’Editoriale di Massimiliano Pontillo

Siamo un Paese in “via di sviluppo sostenibile”?
Di certo, in questo momento, ci troviamo ad affrontare non un solo virus, il Covid-19, ma una pandemia socioeconomica glocale con pochi o nessun precedente. La condizione necessaria per centrare gli obiettivi dell’Agenda 2030 è che le istituzioni centrali e locali funzionino, decidano in tempi rapidi (siamo già molto in ritardo), sappiano fare scelte lungimiranti che guardino a lungo termine, forse dolorose ma giuste…auspicando che tutto ciò possa avvenire attraverso forme di partecipazione attiva dei cittadini.

Sarà altresì fondamentale arginare, con corrette campagne informative, le ormai innumerevoli fake news e contrapporre riforme sensate all’illusione di una democrazia diretta che vorrebbe affidare le scelte a chi non ha le giuste conoscenze ed esperienze utili per deliberare al meglio, per e nell’interesse del “bene comune”. Tutto dipenderà dalla capacità della classe dirigente (non solo i decisori pubblici) di avere visione e coraggio, investendo nell’innovazione tecnologica necessaria ad assicurarci il futuro e nell’attuare politiche di protezione e resilienza. E dovrà, al contempo, riuscire a comunicare questo impegno all’opinione pubblica, oggi sfiduciata, evitando che l’aumentata percezione dei rischi ambientali e sociali, e la legittima rabbia delle nuove generazioni, si trasformi nel collasso della nostra civiltà.

Lo “spettacolo” (nonostante la chiusura di cinema e teatri) a cui abbiamo assistito, soprattutto in questa seconda ondata virologica, fotografa un sistema pubblico del Paese non in condizioni di funzionare adeguatamente alle attuali esigenze, così straordinarie. Ci sono state risposte politiche in parte coraggiose ma in parte inopportune, grandi eroismi ma anche grande superficialità. E ancora: un costante “tutti contro tutti”, con alcuni responsabili tra i media interessati più alla spettacolarizzazione di ciò che accade piuttosto che alla presentazione di una realtà meglio comprensibile su questioni oggettivamente molto complesse.

Il fact checking, che è stato per esempio uno degli aspetti positivi emersi nella recente campagna elettorale americana, è da noi poco praticato; se ne occupano per lo più siti quasi sconosciuti e pochissimi programmi.
Il fallimento ahimè della strategia italiana post estate non è però (esclusivamente) colpa dei governanti, ma è figlia di una nostra cultura politica concentrata principalmente al consenso immediato. A sua volta, succube di meccanismi istituzionali inceppati: un sistema elettorale nazionale che non premia certo la competenza e non favorisce governi stabili; una ripartizione ambigua di ruoli tra Stato, Regioni e Città; una eccessiva burocrazia, “bravissima” nel non assumersi responsabilità; e una magistratura, che in certi casi, contribuisce alla paralisi ambendo a sostituirsi al governo centrale.

In questo momento abbiamo un’occasione unica di cambiamento, rappresentata dai molti programmi europei: sia quelli strutturali per i prossimi sette anni sia quelli specifici di risposta alla crisi, che hanno spinto l’Unione a essere, nonostante tutto, più lungimirante e più coesa. Mi riferisco ai 209 miliardi (centrati su innovazione e sostenibilità) che l’Italia sta aspettando.
Ma attenzione: sono legati a condizionalità precise, tra cui l’attuazione di riforme in tutti i campi della pubblica amministrazione necessari per far funzionare il “Sistema Italia”. Ce la faremo? Forse sì, ma occorre velocemente un cambio di paradigma, un approccio coerente alla complessità, un balzo in avanti fatto di strategie condivise, politiche integrate, azioni concrete e soprattutto misurabili.