C’è una frase di Tolstoj che può ben definire il principio attivo che sta a monte dei processi del performing media storytelling: “Se descrivi bene il tuo villaggio parlerai al mondo intero”. È netta, precisa ed evocativa. Fa capire quanto sia importante essere consapevoli della propria identità e allo stesso tempo cercare di misurarci con il mondo tutto, senza rimanere prigionieri nella propria memoria, per liberare un’energia d’innovazione culturale decisamente glocal, in cui l’azione locale s’inscrive in una strategia globale di comunicazione nel web.
Sul performing media storytelling si svolgerà il 14 dicembre un webinar promosso dal festival Le Meraviglie del Possibile.
La differenza dallo storytelling di cui tanto ormai si parla è nell’ibridazione narrazione-azione, facendo direttamente “parlare” i territori, creando le condizioni abilitanti, ludiche e partecipative, per mettersi in sintonia con il genius loci mentre lo si esplora o lo si assaggia operando su format di performing media (c’è un lemma Treccani a riguardo) che vanno oltre il dato di rilevazione delle storie per bensì rivelarle nelle geografie che si abitano, sia stabilmente sia in via temporanea.
È questo uno dei temi caldi per quella ricerca d’innovazione territoriale che attraverso i format di performing media trova il suo fulcro nei walkabout, le “conversazioni nomadi” che grazie ai sistemi whisper-radio permettono di sollecitare un confronto “connettivo” mentre si passeggia, in un flusso peripatetico espanso in una diffusione radiofonica partecipativa (diffusa, spesso, in streaming su web-radio) in giro per le città e i territori. Sciamando per strade e sentieri si cerca la sintonia giusta con le piccole storie delle comunità, in un rapporto fisico, performativo e connettivo, attivando una partecipazione senziente, ludica e sodale: resiliente.
Buona parte di questa attività trova una sua restituzione nel web, attraverso i geoblog, e i post (che non sono mai “recensioni” ma analisi emozionali del feedback). In particolare le mappe interattive (inventate nell’ambito delle Olimpiadi Torino2006, prima di googlemaps,) rappresentano la peculiarità di scrivere storie nelle geografie, lasciando l’impronta, taggando, esperienze di esplorazione perché possano tracciare itinerari da ripercorrere in operazioni anche orientate verso il turismo esperienziale.
Questi particolari processi che rappresentano l’insieme delle diverse modalità inscritte nella strategia del performing media storytelling possono creare una filiera creativa che dai walkabout passa ai geoblog, alla videoproiezione nomade (quando alle conversazioni peripatetiche si combina una videoproiezione itinerante e alimentata a batteria, per ritagliare visioni sui paesaggi urbani) e poi concepire un’attività di segnaletica performativa con particolari targhe segnaletiche basate sull’uso di mobtag (detti anche QR-code) che linkano a pagine web in cui trovare (e magari ascoltare) storie inscritte nelle geografie, in prossimità dei luoghi dove sono state raccolte.
Si cammina per i luoghi e si pesca dal cloud i riferimenti che sollecitano l’attenzione e invitano a porre lo sguardo su alcuni dettagli. È un buon modo per rilevare informazioni-emozioni mentre si esplora un territorio e così rivelare il genius loci espresso dalle voci degli abitanti.
Qui si tratta di andare oltre il dato automatico dello sharing su facebook o twitter per attivare processi di coscienza partecipativa, fisica ed empatica, che sappia giocare con i media interattivi e mobili in una condizione esperienziale con i “piedi per terra e la testa nel cloud”, coniugando web e territorio, il reale fisico con quello digitale.
Il performing media storytelling comporta questa scommessa culturale: trovare il modo per mettere in relazione memoria-reti-territorio attraverso l’azione partecipativa, sollecitata da quelle particolari condizioni abilitanti che possano esplicitare il rapporto con tecnologie da usare (inventando valori d’uso creativi) fino a farle diventare linguaggi a tutti gli effetti. E conseguentemente modalità performanti per sollecitare reciprocità con gli spettatori-cittadini, secondo i principi del cosiddetto Audience Development per cui s’intende lo sviluppo progressivo dello spettatore attivo, ambito su cui s’operato dagli anni Novanta, in diversi progetti, sia con l’AGIS a Torino sia con la Biennale di Venezia nel 1999.
E’ attraverso la condizione abilitante espressa da questi format di performing media che è quindi possibile attivare processi partecipativi più senzienti e dinamici, promuovendo un salto di qualità verso dei cantieri di co-progettazione culturale per lo sviluppo glocal e la resilienza urbana, come quelli promossi con Italia SmArt Community.
Si, è proprio dando forma ad un pensiero globale – inscritto negli scenari della radicale transizione in atto, contemplando un ripristino dei rapporti originari tra natura e cultura – innervato nell’azione locale, rilevando le peculiarità dei territori e rivelando genius loci, che si può attivare uno storytelling sostanziale e non solo superficiale (con il surf sui social) capace di fare e pensare innovazione territoriale.
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Carlo Infante