Nel trattare di smart community abbiamo spesso usato il concetto di cittadinanza educativa che comporta un apprendimento continuo che va ben oltre l’assetto scolastico e formativo, per orientarsi negli scenari del cambiamento, rilanciando un protagonismo attivo delle comunità. Eppure serve qualcosa in più, qualcosa capace di accendere lo sguardo ed offrire le condizioni abilitanti per mettersi in gioco, innestando una tensione poetica nella politica, in una nuova percezione della polis.
Altofest fa questo, è un progetto teatrale che ha saputo smarcarsi dal format del festival per creare un ecosistema relazionale basato su performance e installazioni incastonate all’interno di case e condomini. Nasce nel 2011 a Napoli, ma lo scorso anno s’è sviluppato in diversi centri della Basilicata (nell’ambito di Matera Capitale europea della cultura) con il progetto “Abitare Futuro” dove è emersa la dimensione poetica della prossimità basata sul dono, sondando il senso profondo dell’ospitalità. Hanno realizzato un progetto anche a Malta, ispirati dal tema “Legendary People”, impostando le azioni nel conoscere quel mondo, i suoi abitanti le sue leggende, nel tentativo di creare una nuova mitologia che vede i cittadini come eroi.
Qualche giorno fa hanno creato un ambiente on line, con zoom e su diretta facebook, in cui dopo un concerto e un palinsesto di videoreport, hanno convocato i cittadini di quella Città Sospesa, disseminata tra Napoli, Malta e i diversi centri lucani.
Si è così ricomposta una texture di memorie provenienti da quei diversi territori in una vivida conversazione con i protagonisti di questo emblematico ecosistema relazionale che ha ripercorso le tracce disseminate della comunità errante di Altofest. Una sorta di “archivio vivente” delle azioni esemplari di un ecosistema nomade che reiventa gli ambiti stanziali di chi lo ospita attraverso il principio attivo della cittadinanza poetica.
Artisti, performer, musicisti e mediamaker sono quindi accolti nelle case dei cittadini residenti, definiti “donatori di spazio”, in una convivenza che è qualcosa di più di una residenza artistica, per arrivare ad acquisire una nuova forma, grazie alla reciprocità, in una sorta d’inedita comunanza.
Ecco cosa può fare la differenza: creare le condizioni creative inscritte nella quotidianità, attraverso cui le comunità possano mettersi in gioco, scoprendo opportunità di auto-organizzazione e di tensione desiderante. Ci piace pensare che questa nuova sensibilità possa essere funzionale all’iniziativa per una nuova politica partecipativa sui beni comuni che interpreti la crisi della società in transizione come occasione di sviluppo sostenibile. E’ quindi possibile operare con più metodi, da quelli espressi da giuristi e attivisti a quelli di changemaker e performer, per sollecitare una consapevolezza diffusa di nuova governance dei beni comuni, per la resilienza urbana. Il “come” si procede è importante quanto il “cosa”: non bastano i contenuti, servono ottime forme, in cui l’estetica però si armonizzi con l’etica.
2020-12-29