Un druida Sicano, di Valentina Dell’Aira, Mareamico

C’è un luogo, o meglio una dimensione nel Parco dei Monti Sicani, incastonata in un territorio ricco di sorgenti ed incoronata da alture che la abbracciano rigogliose, a mille metri sopra il paese medievale di Santo Stefano Quisquina, in provincia di Agrigento, in un territorio rurale che ha stretto un patto forte ed ancestrale con i suoi abitanti: è il Teatro Andromeda.
La sua potenza scenografica riporta immediatamente alle atmosfere nordeuropee dei siti e dei rituali celtici di Stonehenge, anche per la sua “orientatio” che si inchina al sole ed all’avvicendarsi delle sue fasi. Ma c’è un particolare fondamentale che subito caratterizza il Teatro come creatura del profondo Sud, con una potenza evocatrice che attanaglia i suoi abitanti alla radice della sue viscere, dato dal fatto che il luogo dove sorge era una “mànnara”, il recinto costituito da blocchi di pietra, in cui i pastori siciliani custodiscono le greggi. E’ questa commistione fra semplicità ed austera sofisticatezza che rende questo luogo un non-luogo di pietra che vertiginosamente sospeso, inonda d’emozione ogni visitatore.
Questa skené nasce dalla volontà visionaria di un uomo che racchiude in sé le tradizioni della terra di Sicilia, di cui Lorenzo Reina è intriso; lo scultore cresce infatti in quella cultura pastorale fatta di sudore, polvere e poesia bucolica e dal padre pastore eredita quello spirito di sacrificio, dedizione e rispetto verso quel mondo che implica una sana convivenza nel suo avvicendarsi infinito di cicli vitali. Il Teatro Andromeda, è l’ampliamento del concetto di natura che sbocca e si fonde con genio e creatività, e nasce da una promessa d’amore verso un padre, che incarica il proprio figlio di proseguire, quale unico erede maschio, l’attività familiare della pastorizia. Reina, coniuga quindi la tradizione di famiglia non potendo esimersi dal nutrimento che l’arte riversa nel suo spirito, ed a cui i corsi di Gabriele Zambardino a Napoli, danno la consapevolezza ed il giusto rigore. L’illuminazione di Andromeda è il periplo della Terra intorno al sole e nella sua Cavèa insistono 108 blocchi di pietra nuda, disposti come stelle, esattamente speculari alla costellazione che le dà il nome; nessuna “venatione” in Andromeda, anche se il teatro e la sua conformazione richiamano creazioni architettoniche ellenistico-romane di cui la regione è feconda custode. Madre natura imperversa lì, in tutto il suo potere immaginifico, creando ponti e squarci di luce fra terra, cielo e mare, in una terrazza che si staglia verso l’infinito, nelle giornate più limpide, infatti, in un orizzonte sul Canale di Sicilia, si può avere la fortuna di scorgere Pantelleria, o se preferite, le omeriche Colonne d’Ercole.
Il Reina progettista non laureato in architettura, stava per approdare alla Biennale d’Arte di Venezia, ma rinunciò adducendo candidamente la motivazione che le sue asine dovevano partorire ed il teatro era ancora incompleto…
Un luogo ispirato dalla volta celeste, l’Andromeda, dove arte e natura parlano un linguaggio silenzioso e ricco di ierofanìe, simbolo del superamento e della armoniosa convivenza fra il perimetro territoriale della tradizione familiare e lo slancio sconfinato della scintilla artistica nel mondo. Questo “pastore errante”, capace di vedere maschere in ogni forma della natura, in un universo in cui la radice di un ulivo può acquisire parvenze antropomorfe, custodisce il teatro più alto del mondo, in cui si dà voce alle vibrazioni di madre natura e che ne rappresenta il suo continuo divenire, perché per dirla con l’artista “come non si smette mai di poter migliorare se stessi, così ci sarà tempo e spazio per migliorare questo teatro, di cui mi sento parte”. C’e una commistione di stili nelle sue creazioni post- moderne e sicuramente i mascheroni classici lo hanno ispirato nella realizzazione della Maschera della Parola, che nella sua bocca, ogni solstizio d’estate s’infuoca dei raggi solari, osservata severamente dalla vicina testa del Genius Loci. E’ di fattezze federiciane il museo ottagonale che si erge in questo spazio immaginifico, in cui la scienza, la metafisica e la natura sono pervase di un assonanza che vince sulle discrasìe che le vuole opposte ed inconciliabili, in un’ Utopia di Moreana memoria, in cui il Kaos ha lasciato il passo ad un Kosmos che pervade i sensi, ma bisogna recarvisi per appurarlo, perché l’opera d’arte, come giustamente afferma Reina, non può essere raccontata, ed il Teatro Andromeda ne raccoglie tutte le voci.